La poesia e la sapienza del mondo, di Marco Ceriani

Antonia Pozzi e dintorni, di Maria Giovanna Pagano




Villa Pozzi a Pasturo (Como): da sinistra a destra, in prima fila, Vittorio Sereni, Ottavia Melato, Isa Buzzoni, Clelia Abate con a fianco Antonio Banfi; in seconda fila: Antonia Pozzi dietro a Ottavia, alla sua destra Remo Cantoni, Alberto Mondadori e Enzo Paci.



Mi pare che dati da circa vent’anni la riscoperta pubblica di Antonia Pozzi (da molto meno la via che Milano le ha dedicata). Io ne avevo fatta una sommaria conoscenza molto tempo prima, credo negli anni Ottanta, quando ho cominciato a passare delle ore pomeridiane in compagnia della professoressa Clelia Abate che aveva insegnato Lettere nell’istituto Tecnico Commerciale “Moreschi” ed era ormai un’insegnante in pensione mentre io cominciavo la stessa esperienza di docente nella stessa materia e ugualmente nelle scuole tecniche secondarie a indirizzo tecnico.
E’ quasi doveroso ricordare Clelia, e con lei la sorella Ottavia che ci aveva fatto da professoressa di filosofia al Liceo Manzoni (poi ho scoperto col tempo che era stato lo stesso liceo di Antonia…ma Ottavia non ce ne aveva mai parlato). Alla morte di Ottavia Abate (che però si faceva conoscere con il cognome Melato, forse per il prestigio della madre di suo marito, la grande attrice di teatro Maria Malato), io e alcuni compagni di liceo scrivemmo un necrologio sull’ ”Unità”, e poco tempo Mario Fanoli, padre di amici, anche lui insegnante e giornalista del quotidiano, che frequentava la stessa sezione del PCI di Clelia, ci mise in contatto con lei che desiderava sapere chi fossero gli studenti che si erano ricordati della sorella.
A parlare oggi di sezioni del Partito Comunista, di persone che avevano vissuto il periodo del fascismo, della guerra, della lotta di Liberazione sembra di affondare in un passato molto più lontano dei settanta, ottanta anni che sono passati. Ma tant’è: non posso qui disperdermi in ulteriori digressioni.
Il matrimonio di Ottavia con il marito era stato ben tormentato e infelice. Ho anche conosciuto e frequentato il loro unico figlio, Marco, proprio avvicinandomi a Clelia che era altrettanto la sua unica zia.
Credo di aver capito purtroppo che in generale la sua vita sentimentale sia stata per destino anche prima e dopo segnata dalla mancanza di una corrispondenza tanto cercata. In gioventù Ottavia si era innamorata del professor Antonio Banfi, che però come vedremo divenne il compagno extraconiugale di Clelia (la parola “amante”, per quanto più diretta, mi appare stonata in questa mia ricostruzione).
Quando la conoscemmo era ancora legata, o lo era stata recentemente, al professor Mattalìa, preside del Liceo “Parini”: Ottavia ci parlava con ammirazione del ruolo da lui avuto nella pubblicazione della “Zanzara”, giornale scolastico che era assurto alle cronache non solo milanesi ma nazionali per il processo intentato ai suoi redattori e al preside stesso (1966). Quando passai dal ginnasio al liceo erano passati cinque anni da quei fatti. Il tema della sessualità liberata stava trovando ulteriore espressione in un film come “Harold e Maude” e l’avrebbe trovato ancora dopo un altro lustro in “Porci con le ali” (per fare i due primi esempi che mi vengono in mente).
Torno a Clelia Abate, perché fu appunto grazie a lei che “incontrai” Antonia Pozzi.
In che miniera di aneddoti mi è stato consentito di scendere nelle ore passate con Clelia! Conservava della famosa foto che fa da prefazione a questo ricordo (istantanea che allora non mi era familiare) il taglio particolare degli occhi, uno sguardo acuto e con una nota vagamente spavalda: ben diversa nella fisionomia e nella postura vi appare emblematicamente Ottavia). Racconti sulla propria famiglia; sul Fronte della Cultura nel primo dopoguerra; sulla polemica del comunista francese Jean Kanapa contro l’esistenzialismo (me ne parlò davvero spesso, forse non a caso, dato il dogmatismo dei partiti comunisti di allora e per il fatto che alla polemica aveva partecipato Remo Cantoni, amato dalla Pozzi e altro affiliato al gruppo banfiano); su Ungaretti e Montale… E poi i tanti ricordi relativi alla sua lunga relazione con Antonio Banfi (su cui, ancora per evidenti motivi di rispetto del loro privato, non mi attardo). E poi ancora venne fuori quel nome: Antonia Pozzi. Colsi fin da allora (non mi pare sia una impressione delineata a posteriori) una connotazione emotiva particolare in quella memoria
Mi disse che era una poetessa, vicina agli allievi e amici che gravitavano intorno al Maestro, che si era tolta la vita in giovanissima età. Non so se fosse il tema del suicidio in sé, così carico di tragicità, a intridere quel ricordo di reticente pudore…ma avvertii qualcosa di sottaciuto. Certo, la vicenda di un’amica che a soli 26 anni si auto sopprime, in un gruppo che voleva essere testimonianza di una cultura fattiva, aderente alla vita, poteva non lasciare una specie di senso di colpa? Non è forse inevitabile che ci si chieda se si poteva comprendere e aiutare di più?
Tuttavia, a distanza di anni ancora non era maturata in Clelia la consapevolezza piena del valore poetico della Pozzi. Forse in questo fece da sigillo il giudizio di Banfi, che come sappiamo non incoraggiò molto, per essere indulgenti con lui, Antonia Pozzi. C’era troppa vita nel sangue di Antonia (per usare un suo verso) perché in quel frangente storico e con quelle impostazioni mentali troppo raziocinanti, quel filosofo, quel gruppo potessero evitare di sentirsi in una specie di imbarazzo che bloccava un giudizio maggiormente attento, capace di empatia, commosso. E’ già stato scritto che sia mancata l’accoglienza giusta al sentimento caldo, ricco e intenso di Antonia: nelle sue esperienze di vita e di poetessa.
Anche Ottavia ne scrive nel suo “Cronaca di una universitaria”1, che mi donò con una cara dedica. Si legge a pag.11: “Ricordo anche un’altra amica e poetessa, Antonia Pozzi, che doveva finire tragicamente suicida, qualche anno dopo, le cui poesie furono raccolte postume nel volume Parole.”
Nella foto Antonia è alle spalle di Ottavia Abate, un po’ nascosta, immortalata dallo scatto in modo un po’ dissonante rispetto alla posa generale, perché sembra stia dicendo qualcosa che si perde.
Lo sfondo è quello della villa dei suoi genitori, nella sua amata Pasturo. Questa foto mi fa pensare emblematicamente al suo destino: in parte occultata…al contempo nel coro e fuori da esso…è lei che ospita, insieme ai genitori, tutta quella “bella” gente…Ma le vogliono bene? Non sta in prima fila, e proprio lei non risalta, in una istantanea che un po’ la deforma.
Ho letto la poesia di Vittorio Sereni “Intervista a un suicida”2: era anch’egli stato amico di Antonia, anch’egli parte di quei sodali banfiani. Nel testo il poeta segue il funerale di un amico…in un verso leggiamo “Gettai nel riverbero il mio perché l’hai fatto?” …Chissà se vi sia l’eco lontana del medesimo interrogativo per l’anima di Antonia.
Ho frequentato il liceo Manzoni; ho conosciuto Ottavia e Clelia, che fu compagna di Banfi: entrambe a loro volta la conobbero; su Levy Bruhl e il pensiero dei “primitivi” diedi con Remo Cantoni un esame affascinante che mi spinse a laurearmi in antropologia. Ho letto le poesie di Antonia Pozzi, e sento affinità con lei, per la sua fedeltà alla propria anima, a onta di ogni frustrante esperienza.
C’è questa poesia che mi piace molto, intitolata “Un destino”3, datata 13 febbraio 1935:

Lumi e capanne
ai bivi
chiamarono i compagni.

A te resta
questa che il vento ti disvela
pallida strada nella notte:
alla tua sete
la precipite acqua dei torrenti,
alla persona stanca
l’erba dei pascoli che si rinnova
nello spazio di un sonno.

In un suo fuoco assorto
ciascuno degli umania
d un’unica vita si abbandona.

Ma sul lento
tuo andar di fiume che non trova foce,
l’argenteo lume di infinite
vite – delle libere stelle
ora trema:

e se nessuna porta
s’apre alla tua fatica,
se ridato
t’è ad ogni passo il peso del tuo volto,
se è tua
questa che è più di un dolore
gioia di continuare sola
nel limpido deserto dei tuoi monti

ora accetti
d’esser poeta.

Mi colpisce particolarmente l’ultima strofa, in cui Antonia accondiscende ardentemente pienamente a se stessa (smarcandosi dal gruppo: in modo imposto, casuale o voluto non saprei), nonostante tutto. Il testo è seguito due giorni dopo da un’altra lirica dal titolo convergente: “Radici”4. Ci sono dunque nel 1935 delle pietre miliari poste sul suo cammino: le sue certezze, per quanto “pallide, si stanno definendo. Perché soltanto tre anni dopo si sgretoleranno? E perché Antonia parla del “peso del proprio volto”? Così intensamente donna, lo specchio non le rimandava a 23 anni la grazia che le sembrava potesse aprire la strada all’Amore? Erano tempi in cui – mi riferisco agli uomini da lei amati - desideri più o meno intensi che non sfociassero in un matrimonio erano troppo audaci, troppo rischiosi con una signorina di ottima famiglia come la Pozzi?
Qualcuno si è chiesto che posizione avrebbe assunto Leopardi se fosse vissuto fino al 1848, e io mi domando se sarebbe stata più corrispondente ad Antonia la temperie culturale della mia giovinezza: quella di grandi speranze progettuali, della rivoluzione sessuale a cui ho già accennato…
Scontato dire che non si possono ricostruire se non per ipotesi le cause che la condussero quel 3 dicembre 1938 ad assumere barbiturici nei pressi dell’Abbazia di Chiaravalle (non distante da cui, tra l’altro, abito nella mia ultima residenza). Nel 1935 la guerra di aggressione fascista all’Etiopia; l’anno seguente la guerra civile in Spagna; due anni dopo le leggi razziali; Antonia fa una breve esperienza di insegnante, Antonia vivamente registra, avendone l’occasione, la miseria della Milano operaia. Antonia non trova corrispondenza d’amore neanche nel suo amico filosofo Dino Formaggio…
Dicevamo comunque che indagare i motivi del suo suicidio è operazione dubbia e forse impropria.
Tuttavia ho come una certezza: non credo che quel giorno Antonia Pozzi avesse dentro di sé un drammatico subbuglio. Sono spinta a immedesimarmi nel suo proposito suicida registrandone una connotazione di assoluta lucidità. La immagino con una disperazione, pervasa però da una sorta di pacata sazietà nel rapporto con la deludente realtà. A tal punto che persino le sue autentiche passioni non la potevano più compensare. Me ne congedo in questo omaggio con le prime due strofe di un’altra sua poesia: “Il sentiero”,5 sempre del 1935:

Sperare

mentre il domani intatto sconfina
e tosto
dimenticare il volto
delle speranze, nel tempo vero.

Viali sognavi per la vita
e un esile
sentiero ti rimane.

E’ un sentiero che si fa man mano meno che esile. E’ un sentire che a momenti ho conosciuto, l’unico che immagino possa portare consapevolmente alla medesima decisione.



Riferimenti
1) Ottavia Abate: “Cronaca di una universitaria”, Biblioteca Internazionale Editrice, 1968:11
2) Vittorio Sereni: “Gli strumenti umani”, Einaudi, 1965:71
3) Antonia Pozzi: “Parole”, ‘Ancora, 2017 :353
4) idem 354
5) idem 351

como citar:  PAGANO, Maria Giovanna. Antonia Pozzi e dintorni. In Literatura Italiana Traduzida, v.1., n.5, jun. 2020. Disponível em https://repositorio.ufsc.br/handle/123456789/209836