La poesia e la sapienza del mondo, di Marco Ceriani

Ecologia letteraria, ecofemminismo: ancora su Morante, Ortese, Lispector, di Elvira Federici

Ilustração fonte: Independente Jornalismo Alternativo (http://www.independente.jor.br/)



Quale rapporto si instaura tra ecologia e letteratura; quale sguardo sulla letteratura esistente e futura proietta l’ecologia letteraria, se non è come per l’ecocriticism, la rilevazione critica di scritture che hanno per oggetto la natura o la wilderness ma piuttosto un cambio di epistemologia, per cui la natura non è un oggetto fuori di noi e “il testo letterario stesso è un ecosistema, un complesso vivente di relazioni”: nel suo Ecologia letteraria, Scaffai  rileva questi nodi concettuali; compie una vasta ricognizione sulla letteratura contemporanea; cita  Ghosh (La grande cecità, 2016), che si chiede dove potrebbe andare “ il romanzo contemporaneo se volesse dar conto del proprio tempo senza accontentarsi dei minimi punti di vista di un protagonista-tipo” (in Scaffai, 2019). L’ecologia letteraria si chiede se abbia più senso una letteratura concentrata sull’esistenza dell’individuo e se invece – domanda radicale che chiama in causa autori come  G. Bateson o la riflessione di Braidotti sul post umano -  ogni creatura vivente racconta una  storia di co-evoluzione, interdipendenza, sopravvivenza.  Ciò che da tempo hanno  colto i movimenti e il pensiero dell’ecofemminismo.

E dunque, Morante, Ortese, Lispector, possono essere lette alla luce dell’ecofemminismo? Prima che la storia, la filosofia, le scienze – neuroscienze e biotecnologie - registrassero, persino nel senso comune, l’affioramento di  domande impreviste, l’apparire di  nuovi soggetti  e nella letteratura il tema ambientale prendesse sovente le forme della distopia, queste tre scrittrici, mostrano una vertiginosa capacità di attraversare l’umano ed esplorarne i bordi nella continuità creaturale del vivente, evocando, con la stessa forza epistemologica del mito, l’ibridazione originaria di Dafne, l’oscura genealogia del Minotauro, la forza dei centauri, l’interrogazione della Sfinge.


Le creature di Morante, sempre eccedenti, comunque non coincidenti con l’umano, ritornano come in un gioco di specchi in ognuna delle sue opere, nonostante i più diversi camuffamenti come, nel  Mondo salvato dai ragazzini (1968),  Antigone “zingarella semibarbara” della Serata a Colono, che accompagna pietosamente il vecchio padre Edipo; la Carlottina, che induce tutti ad indossare la stella di Davide, così che gli ebrei non siano più riconoscibili ai loro persecutori; il Pazzariello, che rinasce continuamente dalla sua capacità di gioire,  i F.P. (i Felici Pochi) . Le creature piccole non umane, nell’opera di Morante hanno gran parte: già nel suo esordio letterario, Menzogna e sortilegio (1948),  la protagonista si presenta  in compagnia di “un essere vivente non umano”: il gatto Alvaro, il suo doppio.
E, ne  La Storia (1974) c’è Useppe, numinoso bambino, figlio bastardo di Iduzza, frutto di una violenza,  affetto dal grande male: attraverso il suo di vista vediamo  il vitellino portato al macello nel vagone, prefigurante altre deportazioni; capiamo il linguaggio degli uccelli, i “ ninielli” che cantano:  “E’ uno scherzo, uno scherzo, uno scherzo; Useppe, a sua volta  caprettino, vitello, uccellino, fa capriole e salti di gioia con e come il cane Blitz.
Dovunque si guardi, si scopre un’unica impronta comune, dice Davide a Useppe che ama comporre filastrocche basata sul come,  a dire la somiglianza di tutte le cose: “Il sole è come un albero grande che dentro tiene  i nidi e suona come una cicala maschio e come il mare e con l’ ombra ci scherza come una gatta piccola” (La Storia) e aggiungerei qui la domanda di Gregory Bateson, (a sua volta iniziatore di un’ecologia come epistemologia): “Quale struttura connette il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei con l’ameba da una parte e con lo schizofrenico dall’altra? (Mente e natura, 1984).
L’animale non è un’alterità gerarchizzata ma la cifra della fluidità del vivente che  include creature dell’immaginazione. Così è sovvertito il fondamento cartesiano della cultura occidentale moderna, in un  vertiginoso salto con cui la specie animale con-fluisce nell’umano e viceversa, secondo un divenire, intransitivo, che postula la processualità e la complessità del vivente in un  reciproco e continuo contaminarsi.  
Anna Maria Ortese, quasi coetanea di Elsa, come lei votata alle creature piccole, ai minimi,  dice:  “tutto è divino e intoccabile […] dovunque siano occhi che vi guardano con pace o paura, là vi è qualcosa di celeste, e bisogna onorarlo e difenderlo” e continua  “Uno scrittore-donna, una bestia che parla, dunque” (Corpo Celeste, 1997) “per indicare la selvatichezza, la natura indomita e la libertà inaudita di una donna che si mette a scrivere” (De Simone, 2018) evocando il fatto che “l’umanità delle donne, del resto, sia una conquista recente anche nel mondo occidentale” (Iovino, 2015).
 “Un brav’uomo va in un’isola - è molto ricco e può andare dovunque - e conosce un mostro. Lo prende come cosa possibile, e vorrebbe reintegrarlo - suppone ci sia stata una caduta - nella società umana, anzi borghese, che ritiene il colmo della virtù. Ma si è sbagliato: perché il mostro è un vero mostro anzi esprime l’animo puro e profondo dell’Universo di cui il signore non sa più nulla, tranne che è merce” (Corpo Celeste). Così Ortese riassume L’iguana “creatura metamorfica e ambigua, sospesa tra la specie umana e animale e i regni della terra e dell’acqua, sorella delle Sirenette, delle Ondine, di Melusine” (Farnetti, 2015).
 “Le creature del bestiario ortesiano scorrazzano libere nella biologica gerarchia delle razze” (Crivelli, 2008)  ma non sono allegorie, sono creature viventi marcate della differenza. L’iguana è corpo femminile, che abita l’alterità.
 “Un brav’uomo va in un’isola - è molto ricco e può andare dovunque - e conosce un mostro. Lo prende come cosa possibile, e vorrebbe reintegrarlo - suppone ci sia stata una caduta - nella società umana, anzi borghese, che ritiene il colmo della virtù. Ma si è sbagliato: perché il mostro è un vero mostro anzi esprime l’animo puro e profondo dell’Universo di cui il signore non sa più nulla, tranne che è merce” (Corpo Celeste). Così Ortese riassume L’iguana “creatura metamorfica e ambigua, sospesa tra la specie umana e animale e i regni della terra e dell’acqua, sorella delle Sirenette, delle Ondine, di Melusine” (Farnetti, 2015).

 “Le creature del bestiario ortesiano scorrazzano libere nella biologica gerarchia delle razze” (Crivelli, 2008)  ma non sono allegorie, sono creature viventi marcate della differenza. L’iguana è corpo femminile, che abita l’alterità.
Alonso e i visionari, si confronta con la contemporaneità degli anni di piombo, raccontando  “il più grave di tutti i peccati: il disconoscimento dello Spiritom del mondo” (Corpo celeste); il peccato secondo cui il mondo, i corpi, la vita, il pensiero, si strutturano secondo  dicotomie inconciliabili, in cui il secondo termine è l’alterità esclusa, minacciosa: l’errore di Cartesio, il peccato dell’antropocentrismo occidentale. “L’idea di differenza diviene la lente per smascherare una cornice concettuale oppressiva, una mentalità dualistica in cui le contrapposizioni sono funzionali all’esercizio del dominio”(Iovino, 2015). Eccola lista che ne stila la filosofa ecofemminista australiana Val Plumwood: cultura/natura; ragione/natura; maschile/femminile; mente/corpo; padrone/schiavo; razionalità/animalità; universale/particolare; civilizzato/primitivo; produzione/riproduzione; pubblico/privato; soggetto/oggetto; io/altro-da-me ( in Iovino, 2105) Il dualismo è una visione della realtà che al posto delle interdipendenze  ( la dipendenza che ci ricordano filosofe come Muraro, Cavarero, Butler)  stabilisce delle gerarchie e le naturalizza.
Vi è qualcosa che ignoriamo, che non vogliamo sapere (…) Vi è un inganno a danno di persone deboli… Vi è, nella nostra educazione, qualche e errore di base, che costa strazio a molti (L’iguana, 1978)
Le figure di Ortese, “esseri ibridi, a metà tra la bestia, l’uomo e l’angelo sono al tempo stesso animali palpitanti e simboli, che camminano, si nutrono e soffrono, fatti di squame, piume e carne; portano sulle spalle i mali del mondo, schiacciati da un peso – forse l’umana intelligenza, i lumi – troppo grande da sopportare” (Farnetti, 2015)
Nella sua opera  Ortese avanza, ben prima di Deleuze, una riflessione critica vicina alla prospettiva teorica di Braidotti  che definiscela postmodernità come l’era della proliferazione delle differenze. Entrano in scena gli ‘altri’ svalutati, che costituivano il complemento speculare del soggetto moderno: la donna, l’altro definito in base all’etnia o alla razza e la natura o ‘altri terrestri’(Braidotti, 2015) , che sembrano «supplicare di essere riconosciuti»
Attraverso la loro natura in transizione, attraverso l’incerto confine di genere di queste  creature  Ortese rilegge lo specifico umano, in una visione anti-antropocentrica e lo colloca in quello che Braidotti chiama  un «continuum con il mondo animale, minerale, vegetale, extraterrestre e tecnologico».  E’ Clarice Lispector, tuttavia che esplora più di ogni altra la dimensione post-umana che si carica di un ecologismo radicale, nel fluire che disfa la soggettività che chiamiamo IO, incardinata nelle strutture simboliche, nei ruoli sociali, nella lingua, “Não vou ser autobiogràfica, quero ser bio”. (Água viva, 1973). “Un giorno, andrò via  sola (…) La mia anima la lascerò, qualche animale le darà ricovero¸ sarà una vacanza in un altro paesaggio, guardando da qualsiasi finestra detta dell’anima, qualsiasi finestra di occhi di gatto o di cane. Di tigre, preferirei” (La scoperta del mondo, 2001)
Così Lispector  tocca il fondo più fondo di una rinuncia all’umano come libertà e radicale accesso alla realtà. Alla realtà del bios (zoe, direbbe Braidotti) che nel suo fluire, scambiarsi, contaminarsi non sopporta gli stampi precostituiti del pensiero antropocentrico.
“Là c’è il mare, la meno inintellegibile delle esistenze non umane. E qui c’è una donna, in piedi sulla spiaggia, il più inintellegibile degli esseri viventi” (La scoperta del mondo,2001)
Lispector è radicale e sovversiva “nel concepire una trascendenza, che nel pensiero corrente è assoggettata, come l’animale non umano, all’antropomorfizzazione (…) C’è una realtà che va oltre l’umano, che supera l’umano in quanto  lo precede. Una realtà generale e originaria di cui l’umano è una riduzione, un impoverimento (Iovino, 2015)
“L’inumano è il nostro meglio, è la cosa, la parte-cosa delle persone”  che libera il mondo dalla dipendenza dall’io e l’io dall’indipendenza di sé: “il mondo non dipendeva da me – questa era la fiducia cui ero arrivata: il mondo indipendeva da me (…) Come potrò dire se non timidamente: la vita mi è” ( La passione secondo G.H., 2019)
Anima, intelligenza, linguaggio- sono il rifugio nei confronti della materia, del minaccioso nostro limite. Aprendo questo argine, ci tocca un salto epistemologico, che è un salto di ordine dei valori, una visione secondo cui “ gli esseri si esistono a vicenda”e “si era spezzato il mio involucro e io ero senza limite. Non essendo, io ero (…) Ciò che non sono, io sono (…) Tutto sarà in me se io non sarò; poiché “io” è solo uno degli spasmi istantanei del mondo ( La passione secondo G.H.)
E’ questo superamento dell’io che consente di dire, in Acqua viva “mi prendo cura del mondo” e “Voglio l’incluso. Voglio il disordine profondo che fa presentire un ordine soggiacente. La grande potenza della potenzialità”
Le scritture  di Morante, Ortese, Lispector aprono, dilatano incessantemente la relazione e in una sempre più vasta dimensione ridefiniscono l’umano rispetto al non-umano in una prospettiva radicalmente ecologica che richiama il postumano di Braidotti: “La ricomposizione postumana  è piuttosto un  legame affermativo che colloca il soggetto nel flusso delle relazioni con i molteplici altri (…)Riconoscere questo continuum ci rende in grado di essere all’altezza di quanto accade. L’ultimo passaggio della disintossicazione dall’ego umano, umanista, antropocentrico, è il tentativo di riuscire a scrivere come se il soggetto unitario fosse già trascorso, riuscire a pensare al di là di esso”. Il tentativo, e l’esito, delle scritture di Morante, Ortese, Lispector.

BRAIDOTTI, Rosi. Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte. Roma: Derive Approdi, 2013.
CRISPINO, A M e NEONATO, Silvia (org.) Lady Frankenstein e l’orrenda progenie. Roma: Iacobelli editore, 2018.
CRIVELLI, Tatiana. L'iguana, il cardillo, il puma: animali come dispositivi teratologici nella narrativa di Anna Maria Ortese. Zurigo: Uni 2008.
FARNETTI, M. Anna Maria Ortese. Milano: Bruno Mondadori, 1998.
FARNETTI, Monica. Tutte signore di mio gusto. Milano: La tartaruga ed., 2008.
IOVINO, Serenella. Ecologia letteraria. Milano: edizioni Ambiente, 2015.
LISPECTOR, Clarice. La scoperta del mondo, 1967-1973. Trad. Mario Raggini. Milano: Tartaruga Edizioni, 2001.
LISPECTOR, Clarice. La passione secondo G .H. Trad. Adelina Aletti. Milano: Feltrinelli, 2019.
LISPECTOR, Clarice Lispector. Acqua viva. Trad. Roberto Francavilla. Milano: Adelphi, 2017.
PLUMWOOD, Val. Environmental Culture: The Ecological Crisis of Reason. Taylor & Francis Ltd., 2001.
SCAFFAI, Niccolò. Letteratura e ecologia. Forme e temi di una relazione narrativa. Roma: Carocci editore, 2019.


como citar: FEDERICI, Elvira. Ecologia letteraria, ecofemminismo_ ancora su Morante, Ortese, Lispector. In Literatura Italiana Traduzida, v.1., n.6, jun. 2020.Disponível em https://repositorio.ufsc.br/handle/123456789/209769