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Literatura Italiana Traduzida ISSN 2675-4363
Ecofeminismo
Elvira Federici
Prosa contemporânea
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Ilustração fonte: Independente Jornalismo Alternativo (http://www.independente.jor.br/)
Quale rapporto si instaura tra ecologia e letteratura; quale sguardo sulla letteratura esistente e futura proietta l’ecologia letteraria, se non è come per l’ecocriticism, la rilevazione critica di scritture che hanno per oggetto la natura o la wilderness ma piuttosto un cambio di epistemologia, per cui la natura non è un oggetto fuori di noi e “il testo letterario stesso è un ecosistema, un complesso vivente di relazioni”: nel suo Ecologia letteraria, Scaffai rileva questi nodi concettuali; compie una vasta ricognizione sulla letteratura contemporanea; cita Ghosh (La grande cecità, 2016), che si chiede dove potrebbe andare “ il romanzo contemporaneo se volesse dar conto del proprio tempo senza accontentarsi dei minimi punti di vista di un protagonista-tipo” (in Scaffai, 2019). L’ecologia letteraria si chiede se abbia più senso una letteratura concentrata sull’esistenza dell’individuo e se invece – domanda radicale che chiama in causa autori come G. Bateson o la riflessione di Braidotti sul post umano - ogni creatura vivente racconta una storia di co-evoluzione, interdipendenza, sopravvivenza. Ciò che da tempo hanno colto i movimenti e il pensiero dell’ecofemminismo.
E dunque, Morante, Ortese, Lispector, possono essere
lette alla luce dell’ecofemminismo? Prima che la storia, la filosofia, le
scienze – neuroscienze e biotecnologie - registrassero, persino nel senso
comune, l’affioramento di domande
impreviste, l’apparire di nuovi
soggetti e nella letteratura il tema
ambientale prendesse sovente le forme della distopia, queste tre scrittrici, mostrano
una vertiginosa capacità di attraversare l’umano ed esplorarne i bordi nella
continuità creaturale del vivente, evocando, con la stessa forza epistemologica
del mito, l’ibridazione originaria di Dafne, l’oscura genealogia del Minotauro,
la forza dei centauri, l’interrogazione della Sfinge.
Le creature di Morante, sempre eccedenti, comunque non coincidenti
con l’umano, ritornano come in un gioco di specchi in ognuna delle sue opere,
nonostante i più diversi camuffamenti come, nel Mondo salvato dai ragazzini
(1968), Antigone “zingarella
semibarbara” della Serata a Colono, che
accompagna pietosamente il vecchio padre Edipo; la Carlottina, che induce tutti
ad indossare la stella di Davide, così che gli ebrei non siano più riconoscibili
ai loro persecutori; il Pazzariello, che rinasce continuamente dalla sua
capacità di gioire, i F.P. (i Felici Pochi)
. Le creature piccole non umane, nell’opera di Morante hanno gran parte: già
nel suo esordio letterario, Menzogna e
sortilegio (1948), la protagonista
si presenta in compagnia di “un essere
vivente non umano”: il gatto Alvaro, il suo doppio.
E, ne La
Storia (1974) c’è Useppe, numinoso bambino, figlio bastardo di Iduzza, frutto
di una violenza, affetto dal grande
male: attraverso il suo di vista vediamo
il vitellino portato al macello nel vagone, prefigurante altre
deportazioni; capiamo il linguaggio degli uccelli, i “ ninielli” che cantano: “E’ uno scherzo, uno scherzo, uno scherzo”; Useppe, a sua volta caprettino, vitello, uccellino, fa capriole e
salti di gioia con e come il cane Blitz.
Dovunque si guardi, si
scopre un’unica impronta comune, dice Davide a Useppe che ama comporre
filastrocche basata sul come, a dire la somiglianza di tutte le cose: “Il sole è come un albero grande che
dentro tiene i nidi e suona come una
cicala maschio e come il mare e con l’ ombra ci scherza come una gatta piccola”
(La Storia) e aggiungerei qui la domanda di Gregory Bateson, (a sua volta
iniziatore di un’ecologia come epistemologia): “Quale struttura connette il
granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E
me con voi? E tutti e sei con l’ameba da una parte e con lo schizofrenico
dall’altra? (Mente e natura, 1984).
L’animale non è un’alterità gerarchizzata ma la cifra della
fluidità del vivente che include creature dell’immaginazione. Così è
sovvertito il fondamento cartesiano della cultura occidentale moderna, in un vertiginoso
salto con cui la specie animale con-fluisce nell’umano e viceversa, secondo un
divenire, intransitivo, che postula la processualità e la complessità del
vivente in un reciproco e continuo contaminarsi.
Anna Maria Ortese, quasi coetanea di Elsa, come lei votata
alle creature piccole, ai minimi, dice: “tutto è divino e
intoccabile […] dovunque siano occhi che vi guardano con pace o paura, là vi è
qualcosa di celeste, e bisogna onorarlo e difenderlo” e continua “Uno scrittore-donna,
una bestia che parla, dunque” (Corpo Celeste, 1997) “per indicare la
selvatichezza, la natura indomita e la libertà inaudita di una donna che si
mette a scrivere” (De Simone, 2018) evocando il fatto che “l’umanità delle
donne, del resto, sia una conquista recente anche nel mondo occidentale”
(Iovino, 2015).
“Un brav’uomo va in un’isola - è molto ricco e può
andare dovunque - e conosce un mostro. Lo prende come cosa possibile, e
vorrebbe reintegrarlo - suppone ci sia stata una caduta - nella
società umana, anzi borghese, che ritiene il colmo della virtù. Ma si è sbagliato:
perché il mostro è un vero mostro anzi esprime l’animo puro e profondo
dell’Universo di cui il signore non sa più nulla, tranne che è merce” (Corpo
Celeste). Così Ortese riassume L’iguana “creatura metamorfica e
ambigua, sospesa tra la specie umana e animale e i regni della terra e
dell’acqua, sorella delle Sirenette, delle Ondine, di Melusine” (Farnetti,
2015).
“Le creature del bestiario ortesiano scorrazzano
libere nella biologica gerarchia delle razze” (Crivelli, 2008) ma
non sono allegorie, sono creature viventi marcate della differenza. L’iguana
è corpo femminile, che abita l’alterità.
“Un brav’uomo va in un’isola - è molto ricco e può
andare dovunque - e conosce un mostro. Lo prende come cosa possibile, e
vorrebbe reintegrarlo - suppone ci sia stata una caduta - nella
società umana, anzi borghese, che ritiene il colmo della virtù. Ma si è sbagliato:
perché il mostro è un vero mostro anzi esprime l’animo puro e profondo
dell’Universo di cui il signore non sa più nulla, tranne che è merce” (Corpo
Celeste). Così Ortese riassume L’iguana “creatura metamorfica e
ambigua, sospesa tra la specie umana e animale e i regni della terra e
dell’acqua, sorella delle Sirenette, delle Ondine, di Melusine” (Farnetti,
2015).
“Le creature del bestiario ortesiano scorrazzano
libere nella biologica gerarchia delle razze” (Crivelli, 2008) ma
non sono allegorie, sono creature viventi marcate della differenza. L’iguana
è corpo femminile, che abita l’alterità.
Alonso e i visionari, si confronta con la contemporaneità degli
anni di piombo, raccontando “il più
grave di tutti i peccati: il disconoscimento dello Spiritom del mondo” (Corpo celeste); il peccato secondo cui
il mondo, i corpi, la vita, il pensiero, si strutturano secondo dicotomie inconciliabili, in cui il secondo
termine è l’alterità esclusa, minacciosa: l’errore di Cartesio, il peccato
dell’antropocentrismo occidentale. “L’idea di differenza diviene la lente per
smascherare una cornice concettuale oppressiva, una mentalità dualistica in cui
le contrapposizioni sono funzionali all’esercizio del dominio”(Iovino, 2015).
Eccola lista che ne stila la filosofa ecofemminista australiana Val Plumwood: cultura/natura;
ragione/natura; maschile/femminile; mente/corpo; padrone/schiavo;
razionalità/animalità; universale/particolare; civilizzato/primitivo;
produzione/riproduzione; pubblico/privato; soggetto/oggetto; io/altro-da-me (
in Iovino, 2105) Il dualismo è una visione della realtà che al posto delle interdipendenze ( la dipendenza che ci ricordano filosofe
come Muraro, Cavarero, Butler)
stabilisce delle gerarchie e le naturalizza.
Vi
è qualcosa che ignoriamo, che non vogliamo sapere (…) Vi è un inganno a danno
di persone deboli… Vi è, nella nostra educazione, qualche e errore di base, che costa strazio a molti (L’iguana, 1978)
Le
figure di Ortese, “esseri ibridi, a metà tra la bestia, l’uomo e l’angelo sono
al tempo stesso animali palpitanti e simboli, che camminano, si nutrono e
soffrono, fatti di squame, piume e carne; portano sulle spalle i mali del
mondo, schiacciati da un peso – forse l’umana intelligenza, i lumi – troppo
grande da sopportare” (Farnetti, 2015)
Nella
sua opera Ortese avanza, ben prima di
Deleuze, una riflessione critica vicina alla prospettiva teorica di
Braidotti che definisce “la postmodernità come l’era della
proliferazione delle differenze. Entrano in scena gli ‘altri’ svalutati, che
costituivano il complemento speculare del soggetto moderno: la donna, l’altro
definito in base all’etnia o alla razza e la natura o ‘altri terrestri’(Braidotti,
2015) , che sembrano «supplicare di essere riconosciuti»
Attraverso
la loro natura in transizione, attraverso l’incerto confine di genere di
queste creature Ortese
rilegge lo specifico umano, in una visione anti-antropocentrica e lo
colloca in quello che Braidotti chiama
un «continuum con il mondo
animale, minerale, vegetale, extraterrestre e tecnologico». E’ Clarice Lispector, tuttavia che
esplora più di ogni altra la dimensione post-umana che si carica di un
ecologismo radicale, nel fluire che disfa la soggettività che chiamiamo IO, incardinata
nelle strutture simboliche, nei ruoli sociali, nella lingua, “Não vou
ser autobiogràfica, quero ser bio”. (Água viva, 1973). “Un giorno, andrò via sola (…) La mia anima la lascerò, qualche
animale le darà ricovero¸ sarà una vacanza in un altro paesaggio, guardando da
qualsiasi finestra detta dell’anima, qualsiasi finestra di occhi di gatto o di
cane. Di tigre, preferirei” (La scoperta del mondo, 2001)
Così
Lispector tocca il fondo più fondo di
una rinuncia all’umano come libertà e radicale accesso alla realtà. Alla realtà
del bios (zoe, direbbe Braidotti) che nel suo fluire, scambiarsi,
contaminarsi non sopporta gli stampi precostituiti del pensiero
antropocentrico.
“Là
c’è il mare, la meno inintellegibile delle esistenze non umane. E qui c’è una
donna, in piedi sulla spiaggia, il più inintellegibile degli esseri viventi” (La scoperta del mondo,2001)
Lispector
è radicale e sovversiva “nel concepire una trascendenza, che nel pensiero
corrente è assoggettata, come l’animale non umano, all’antropomorfizzazione (…)
C’è una realtà che va oltre l’umano, che supera l’umano in quanto lo precede. Una realtà generale e originaria
di cui l’umano è una riduzione, un impoverimento (Iovino, 2015)
“L’inumano
è il nostro meglio, è la cosa, la parte-cosa
delle persone” che libera il mondo dalla
dipendenza dall’io e l’io dall’indipendenza di sé: “il mondo non dipendeva da
me – questa era la fiducia cui ero arrivata: il mondo indipendeva da me (…)
Come potrò dire se non timidamente: la vita mi è” ( La passione secondo G.H., 2019)
Anima,
intelligenza, linguaggio- sono il rifugio nei confronti della materia, del
minaccioso nostro limite. Aprendo questo argine, ci tocca un salto
epistemologico, che è un salto di ordine dei valori, una visione secondo cui “ gli
esseri si esistono a vicenda”e “si era spezzato il mio involucro e io ero senza
limite. Non essendo, io ero (…) Ciò che non sono, io sono (…) Tutto sarà in me
se io non sarò; poiché “io” è solo uno degli spasmi istantanei del mondo” (
La passione secondo G.H.)
E’
questo superamento dell’io che consente di dire, in Acqua viva “mi prendo cura del mondo” e “Voglio l’incluso. Voglio
il disordine profondo che fa presentire un ordine soggiacente. La grande
potenza della potenzialità”
Le
scritture di Morante, Ortese, Lispector aprono,
dilatano incessantemente la relazione e in una sempre più vasta dimensione
ridefiniscono l’umano rispetto al non-umano in una prospettiva radicalmente
ecologica che richiama il postumano di Braidotti: “La ricomposizione postumana è piuttosto un legame affermativo che colloca il soggetto
nel flusso delle relazioni con i molteplici altri (…)Riconoscere questo continuum ci rende in grado di essere
all’altezza di quanto accade. L’ultimo passaggio della disintossicazione
dall’ego umano, umanista, antropocentrico, è il tentativo di riuscire a
scrivere come se il soggetto unitario fosse già trascorso, riuscire a pensare
al di là di esso”. Il tentativo, e l’esito, delle scritture di Morante, Ortese,
Lispector.
BRAIDOTTI,
Rosi. Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte.
Roma: Derive Approdi, 2013.
CRISPINO, A M e NEONATO, Silvia (org.) Lady Frankenstein
e l’orrenda progenie. Roma: Iacobelli editore, 2018.
CRIVELLI,
Tatiana. L'iguana, il cardillo, il puma: animali come dispositivi teratologici
nella narrativa di Anna Maria Ortese. Zurigo: Uni 2008.
FARNETTI, M. Anna Maria Ortese. Milano: Bruno
Mondadori, 1998.
FARNETTI,
Monica. Tutte signore di mio gusto. Milano: La tartaruga ed., 2008.
IOVINO,
Serenella. Ecologia letteraria. Milano: edizioni Ambiente, 2015.
LISPECTOR,
Clarice. La scoperta del mondo, 1967-1973. Trad. Mario Raggini. Milano: Tartaruga
Edizioni, 2001.
LISPECTOR,
Clarice. La passione secondo G .H. Trad. Adelina Aletti. Milano: Feltrinelli,
2019.
LISPECTOR, Clarice Lispector. Acqua viva.
Trad. Roberto Francavilla. Milano: Adelphi, 2017.
PLUMWOOD,
Val. Environmental Culture: The Ecological Crisis of Reason. Taylor &
Francis Ltd., 2001.
SCAFFAI, Niccolò. Letteratura
e ecologia. Forme e temi di una relazione narrativa. Roma: Carocci editore,
2019.
como citar: FEDERICI, Elvira. Ecologia letteraria, ecofemminismo_ ancora su Morante, Ortese, Lispector. In Literatura Italiana Traduzida, v.1., n.6, jun. 2020.Disponível em https://repositorio.ufsc.br/handle/123456789/209769
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