La poesia e la sapienza del mondo, di Marco Ceriani

Letteratura dell’Italia unita (1861-1968) di Gianfranco Contini: un’antologia tra canone e innovazione, di Alfredo Luzi

Unità d'Italia - Stefania Piras

I mutamenti del canone novecentesco in Italia sono stati spesso scanditi, più che dalle storie letterarie o dagli interventi critici, dalle antologie che, per la loro configurazione di  “bilancio-campionario” attraverso una periodizzazione più o meno vasta, presuppongono due parametri operativi: il riferimento ad un modello canonico da confermare o contestare e l’applicazione del giudizio di valore o di opzione stilistica che presiede agli inserimenti o alle omissioni di certi autori nel corpus antologico.

Nell’aprile del 1968, nella fase più acuta della contestazione studentesca in Europa, che denunciava  fra l’altro il distacco tra insegnamento della letteratura e società  (a cui due anni dopo cercava di ovviare il volume collettaneo Le littéraire et le social: éléments pour une sociologie de la littérature, curato da Robert Escarpit) [1], Gianfranco Contini pubblica da Sansoni una antologia Letteratura dell’Italia unita (1861-1968), espressamente “progettata per gli studenti dell’ultimo corso delle scuole secondarie, senza escludere altri lettori, di cultura sempre non specialistica”[2].

       Il dichiarato intento pedagogico-scolastico trova la sua motivazione nell’offrire un quadro di insieme, amplificando il concetto di cultura, dell’ unificazione politica dell’Italia, e del suo lento cammino verso l’Europa.

     Il riferimento socio-culturale al centenario dell’unità d’Italia è esplicitato ad apertura della Avvertenza:

 La formazione dell’unità statale non è qui presa, nonché per la storia letteraria e culturale, ma neppure per la storia civile e politica, né come uni inizio assoluto né come una soluzione di continuità: quello dell’Italia unita è a tutti gli effetti solo un capitolo, non forse dei più fulgidi, ma nemmeno da sottovalutare, nella storia della società italiana.[3]

 

Peraltro la dilatazione cronologica di sette anni può assumere il 1968 come termine ad quem di un processo avviato dal riconoscimento della autoctoritas manzoniana e leopardiana in fase post-risorgimentale e, sul piano teoretico,caratterizzato da una persistente fede nella autonomia del letterario, messa in crisi dalle “cosiddette industrie culturali e società del benessere[4].

Il bilancio di un secolo della letteratura italiana, da Pascoli a Montale, dal futurismo all’ermetismo, è inserito in un contesto di progressiva internazionalizzazione attraverso note su movimenti di pensiero italiani e stranieri, mentre i singoli profili degli autori costituiscono sequenze di una storia letteraria documentata sui testi selezionati.

La complessa dinamica sincronia/diacronia che costituisce la binarietà epistemologica del canone letterario è ben presente nell’illustrazione del metodo da parte dell’antologista.

Nell’Avvertenza una isotopia enucleata su lemmi come “bilancio, campionario, crestomazia, monografie, storicizzazione, storiografia” si incrocia, senza confliggere, con quella impostata su “commento elementare”[5], “valutazione critica del compilatore”[6], “revisione del paesaggio delineato”[7], “analisi cronologica e topografica dei dati linguistici”[8].

Contini, forse consapevole della maggiore tenuta formale e stilistica della poesia rispetto alla narrativa, recupera, per giustificare alcune omissioni in quest’ambito, addirittura la valenza euristica della bergsoniana “durata”, fino alla esplicita dichiarazione di apertura ermeneutica: “a interpretare ci sarà sempre tempo”[9].

Ma l’attenzione ai caratteri formali e stilistici e al plurilinguismo non deve indurre, ammonisce l’autore, a considerare l’antologia come “una raccolta di bello scrivere o, a livello d’un’altra retorica, una collezione di schegge o frammenti di poesia”[10].

Contrario all’estetismo dell’“arte per l’arte” e all’individualistica opposizione crociana poesia/non poesia, egli si attiene alla concezione desanctisiana della letteratura come “ideale storia intima della nazione italiana”[11] sotto forma letteraria e alla poetica del realismo romantico.

Significativamente l’antologia si apre con una intera sezione dedicata unicamente a Francesco De Sanctis, di cui si sottolinea l’impegno civile e politico e di magistero didattico unito all’attività di critico militante e di potenziale filologo.

E che De Sanctis sia uno dei punti di riferimento dell’impostazione continiana della antologia è confermato dal fatto che al critico napoletano sono dedicate 55 pagine con l’inserimento di tre brani, uno sulla scuola del Puoti, uno su L’uomo del Guicciardini, e un terzo sui Promessi Sposi, tutti venati di forte valenza etico-civile.

L’altro modello di metodo è Graziadio Isaia Ascoli, il padre della dialettologia, a cui Contini riconosce “qualità di stile, tali da meritargli l’ascrizione al canone della storia letteraria”[12] e il ruolo di “storico della lingua nazionale e precisamente difensore della sua storicità”[13].

Grande spazio nella prospettiva di monumento canonico di poeta civile, insieme alle altre due corone, Pascoli e d’Annunzio, è offerto a Giosue Carducci (poco meno di 50 pagine), di cui però si evidenzia un aspetto che nel corso dell’antologia assumerà i caratteri di una costante tematica a cui Contini farà spesso ricorso per motivare le sue scelte: l’autobiografia.

Alcuni studiosi, in particolare Carlo De Matteis[14], hanno individuato nella marcata morsura etico-

civile di alcune pagine della Letteratura dell’Italia unita la presenza di una sotterranea vena esistenziale alimentata dalla partecipazione di Contini alla lotta politica del suo tempo, dalla sua presenza nella Repubblica dell’Ossola, dalla adesione al Partito d’Azione e dall’impegno diretto presso il CNL.

Strutturalmente l’antologia presenta una costruzione eclettica sia sul piano della selezione degli autori sia sul piano della classificazione delle sezioni.

Paragrafi interamente monografici (De Sanctis, Carducci, Pascoli, d’Annunzio, Croce), quasi a conferma che il canone della letteratura italiana moderna e contemporanea affonda le sue radici  ed ha una sua continuità nei monumenti della fine ottocento e del primo novecento, si alternano a classificazioni basate su movimenti e ismi ormai codificati ed omologati dalla critica (Giovanni Verga e il naturalismo, scapigliati, crepuscolari, futurismo e vociani, rondisti, aura poetica e solariani, ermetici, neorealisti) o su parametri genericamente storiografico-cronologici (i poeti del Novecento, narratori e drammaturghi tra i due secoli)  o geografico-linguistici (la narrativa toscana, poeti minori e dialettali, poeti dialettali del Novecento), fino a accorpamenti occasionati da una procedura di tipo residuale (altri prosatori, altri autori di prosa scientifica, critici, politici).

Sono passati 45 anni dalla pubblicazione della Letteratura e l’antologia continiana è divenuta essa stessa un monumento canonico ma certo nella definizione dei valori e nelle dinamiche delle riletture il canone letterario italiano del 20° e 21° secolo a cui facciamo oggi riferimento, pur nella sua variabilità autoriale e di gusto, ha subito notevoli mutamenti.Basta entrare nelle stanze dell’edificio costruito da Contini per rendersene conto.

Sul piano didattico Contini aveva probabilmente ben presenti le indicazioni fornite dal DPR122 del 1961 che apportava, dopo quarant’anni dalla riforma Gentile, in cui erano compresi autori ancora viventi o morti da poco, modifiche radicali ai programmi ministeriali per l’insegnamento letterario, suggerendo un metodo scolastico basato sul

 

sincronismo, in via di massima, della trattazione della storia letteraria e della storia politica e civile, e reciproca integrazione dei due insegnamenti, alo scopo di ottenere una maggior organicità di cultura e una visione più unitaria e più vasta dello svolgimento della civiltà.[15]

 

In questa prospettiva la valorizzazione novecentesca della poesia di Pascoli come “discesa della percezione sotto la soglia della coscienza   comune[16] attraverso il plurilinguismo, e la rivalutazione storiografica di d’Annunzio[17] verso la cui produzione, segnata dalla “autocoscienza narrativa”, “i procedimenti selettivi sembrano i meno appropriati”[18], sono funzionali ad una revisione del canone letterario il cui ampiamento è affidato all’innesto di testi saggistici su tematiche politiche, scientifiche, artistiche, esemplari di una scrittura in equilibrio tra stile e conoscenza.Nell’antologia sono presenti autori come Einaudi, Salvemini, Gramsci, Gobetti, Longhi.

Nel contempo la pratica di critica militante orientata sulla dignità formale della pagina è confermata dalla presenza di scrittori non del tutto omologati dal canone letterario allora dominante come Ascoli, Padula, Betteloni, Santucci, Ciotti, Guerra, Pierro, Pizzuto e critici come De Lollis, Petrini, Gargiulo.

Innovativo è anche l’ingresso dei dialettali nel canone novecentesco, motivato dalla constatazione da parte di Contini che siano “cadute in diritto e in fatto le barriere fra lingua e dialetto, e in generale fra tono e tono linguistico”.[19]E tuttavia alcune scelte e collocazioni sollecitano nel lettore-critico di oggi una serie di conflitti ermeneutici.

A parte opzioni che sanno di snobismo letterario ma che comunque possono essere apprezzate come affermazioni della soggettività del “gusto” (Riccardi di Lantosca, Barilli, Lisi, Santucci, Pea, De Libero, Giotti ) non sembra oggi condivisibile l’inserimento di Borgese nella sezione dei crepuscolari, motivato dalla antologizzazione del brano critico che ha dato il nome al movimento, così come resta priva di ragioni critiche la classificazione di «aura poetica» accanto al gruppo dei «solariani», ripresa poi occasionalmente come giudizio stilistico per Agostino di Moravia.

Né si intravvedono i punti di contatto, a livello di teorie letterarie e di ideologie, che possano giustificare il titolo di una sezione come Futurismo e «vociani». Riduttiva sul piano critico risulta anche  la sezione La narrativa toscana, la cui selezione di autori è ristretta in una spazialità regionale.

Già altri studiosi hanno osservato che, se Contini ha avuto il merito di valorizzare le novità stilistico-espressive della poesia del primo Novecento, per quanto riguarda il periodo successivo egli colloca accanto a quella di Ungaretti e Montale la poesia di Saba, la cui ricezione oggi risulta molto differenziata. Sottovalutati sono anche Quasimodo e Calvino di cui viene inserito un solo testo dal Sentiero dei nidi di ragno, sebbene l’antologia venga compilata e pubblicata in anni successivi alla trilogia dei Nostri antenati e alle Cosmicomiche.

Se, nelle sue unità discrete: commento, selezione, note ( uso il termine nella sua accezione matematica), l’antologia della Letteratura dell’Italia unita presenta un sapiente ed equilibrato utilizzo di una visione binaria tra telescopio e microscopio, sul piano strutturale la focalizzazione storiografica è affetta da una sorta di strabismo ( Ilaria Crotti[20]ha individuato nella prospettiva metodologica di Contini una attitudine alla diplopia ) per cui il bachtiniano “ viso rivolto al passato” dell’ Angelus Novus favorisce il riconoscimento e una soggettiva, anche se autoriale e autorevole, revisione della tradizione, proponendo un’idea di storia letteraria come cantiere di lavori in corso, mentre non riesce ad offrire un’ampia messa a fuoco della modernità e della processo canonico della contemporaneità.

E’ indubbiamente da riconoscere a Contini l’originalità euristica, in termini di metodo e di valutazione, di quelle che oggi chiamamo la “funzione Gadda” e la “funzione Longhi”[21]  (la riscoperta di Pizzuto e di Pierro non sembra avere la stessa efficacia critica ), ma, nella prospettiva della ricezione della contemporaneità e del suo stratificarsi in canone storiografico, le “dis-attenzioni”, come le chiama Ilaria Crotti, sono davvero molte e di notevole valenza critica.

Si può essere d’accordo con Angelo Pupino quando scrive che


 le presunte torsioni dell’Italia unita sono connaturate al genere. […] Ogni antologia (antho-logia, “scelta di fiori”) implica un scelta, e ogni scelta avviene tra potenzialità diverse, tra le quali alcune trapassano all’atto, e altre no.[22]

 

          Ma se, per dirla con Eco, facciamo qualche “passeggiata” nel fitto bosco della antologia costituito sul modello crociano da 100 autori, non possiamo non constatare, se non un disaccordo sulla selezione, certo una distanza percettiva del canone della modernità, registrata sull’assenza di autori che, nella variare del valore letterario e delle scelte formali, oggi hanno ottenuto dalla critica e dai lettori un riconoscimento di quella che Luperini chiama “memorabilità oggettiva”, primo passo verso la omologazione canonica.

          Mi limito ad un breve elenco.

Nella narrativa non c’è traccia di Buzzati, Brancati, Bernari, Bontempelli, Bassani, De Roberto, Deledda, La Capria, Primo Levi, Morante, Ortese, Rea, Sciascia, Volponi.

Nella poesia del Novecento ci sono vuoti, che lasciano insoddisfatto e talvolta interdetto il lettore di oggi, pur nella libertà delle opzioni di gusto: Bigongiari, Bertolucci, Caproni, Fortini, Penna, Parronchi. Rosselli, Zanzotto, l’intero gruppo ’63.

Nelle schede dedicate agli autori è invece possibile individuare l’adozione di categorie critiche, tematiche e stilistiche, che, nel loro utilizzo ripetuto per commentare la produzione di scrittori molto diversi tra loro, costituiscono una sorta di griglia ermeneutica unitaria.

Il punto di partenza è sempre la dinamica tra contenuto e forma, derivata da De Sanctis e Croce e riveduta e corretta alla luce delle suggestioni spitzeriane e auerbachiane.

Una prima invariante è quella della dimensione autobiografica, rilevata da Contini nel 20 % degli autori antologizzati, modulata in varie tonalità, dall’ “autobiografismo” di Svevo,da quello “trascendentale” di Jahier e dei vociani, a quello “esclusivamente morale” di Bacchelli, fino all’ “autoritratto intimo” di Cardarelli e ai “versi autobiografici” di Saba, alla “presenza autobiografica” di Landolfi, alla “storia autobiografica” di Tozzi, alla “evidente proiezione dell’autore “ in Tomasi di Lampedusa o, nella critica, alla “occasione autobiografica” dei saggi di Bo.

Un’altra linea, di più marcata impronta etico-stilistica, è tracciata dalla categoria dell’“espressionismo”, mutuata per via pittorica, e attribuita per la prima volta nell’antologia al ”gusto espressionistico” dei dipinti di Carlo Levi.

       Così Pirandello è associato “all’opera caricaturale dell’espressionismo europeo”, l’opera della Manzini è, per Contini, “una perpetua animazione antropomorfica degli oggetti, che è pertanto espressionistica in senso proprio” mentre la narrativa di Tozzi presenta un “espressionismo […] da ragguagliare, sia pur solo per metafora, a quelle pittoriche o filmiche degli espressionisti tedeschi”.

Su quest’asse psicologico-linguistico si esplica la “funzione Gadda”, la cui produzione viene paragonata a quella di Teofilo Folengo per il passato e di James Joyce per il presente, “suoi colleghi (scrive Contini) di alta statura nel tipo formale che si potrebbe definire di manierismo espressionistico”.

In posizione oppositiva, ma con minor frequenza e con ridotta ampiezza si intravvede la linea dell’”impressionismo”, così come alla attenzione al realismo corrisponde l’ipotesi di un “surrealismo” italiano rappresentato da De Libero, Gatto e, forse l’interpretazione può sorprendere, dai romanzi di Moravia.

      Ma anche la “funzione Longhi” ha in qualche modo condizionato le scelte interpretative di Contini.

      Nella sezione  La narrativa toscana , ad esempio, affiora la categoria del “primitivo”, mutuata dalla storia dell’arte e in particolare dagli studi di Toesca, maestro di Longhi, e da quelli dello stesso Longhi.

      L’elemento aggregante che motiva l’accorpamento e unisce scrittori come Tozzi, Lisi, Tobino, viene individuato appunto nel loro stile “primitivo”.

   Bisogna riconoscere a Contini il merito di aver in qualche modo aperto e dinamizzato, con l’inserimento di elementi in apparenza “altri”, l’idea di canone, proponendo, come scrive Ilaria Crotti, “una concezione del campo del letterario quale spazio plurivocale e plurimodale”.[23]

      Peraltro, due anni prima della pubblicazione della antologia, per via non linguistica ma sociologica,  Bourdieu aveva già individuato, ( nel saggio Champ intellectuel et projet créateur  in «Les temps modernes», n. 246, novembre 1966, pp. 865-906),  le linee sistemiche di forza che si intrecciano tra letteratura e società, tra produzione letteraria e potere politico.

      Oggi, tuttavia, tra il lettore odierno e la scrittura continiana, “una distanza ci divide”, prendendo in prestito il verso montaliano.

      Lo stile del grande critico, fatto di crasi logico-concettuali, di citazioni colte, di connotazioni la cui carica allusiva ci risulta oscura, si presenta con una patina certo raffinata ma certo opacizzante del filo conduttore pensiero-espressione, il segno di una έποχή che attribuisce alla Letteratura dell’Italia unita il ruolo di un monumento canonico, ma di scarsa efficacia per aiutarci a storicizzare il nostro passato prossimo letterario.


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Como citar: LUZI, Alfredo. "Letteratura dell’Italia unita (1861-1968) di Gianfranco Contini: un’antologia tra canone e innovazione". In Literatura Italiana Taduzida, v. 1, n. 8, ago. 2020.  Disponível em  https://repositorio.ufsc.br/handle/123456789/210161

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Robert Escarpit ( sous la direction de) avec Charles Bouazis et al., Le littéraire et le social: éléments pour une sociologie de la littérature, Flammarion, Paris 1970.

[2] Gianfranco Contini, Avvertenza, in Letteratura dell’Italia unita (1861-1968), Sansoni, Firenze 1968, p.V.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem.

[5] Ivi, p.VI.

[6] Ivi, p.VI.

[7] Ivi, p.VII.

[8] Ivi, p.VI.

[9] Ivi, p.VI.

[10] Ivi, p.VII.

[11] Ivi, p.5.

[12] Ivi, p. 65.

[13] Ibidem.

[14] Cfr. Carlo De Matteis, Contini e dintorni, Pacini Fazzi, Lucca 1994.

[15] Vedi Mariateresa Sarpi, La letteratura del Novecento a scuola, in Un canone per il terzo millennio, ( intr. E cura di Ugo M. Olivieri), Bruno Mondadori, Milano 2001, p.175.

[16] Gianfranco Contini, op. cit., p.251.

[17] Un riesame critico complessivo dell’opera di d’Annunzio era stato avviato qualche anno prima di Alfredo Schiaffini nel discorso tenuto all’Accademia dei Lincei il 9 novembre 1963, poi pubblicato nel 1964 col titolo Arte e linguaggio di Gabriele D’Annunzio.

[18] Gianfranco Contini, op.cit., p.324.

[19] Ivi, p.VI.

[20] Vedi Ilaria Crotti, Polivalenze del canone novecentesco di Gianfranco Contini, in «Ermeneutica Letteraria», IX, 2013, pp.93-103.

[21] Vedi anche il volume di Andrea Mirabile, La «funzione Longhi» nella letteratura italiana, Longo, Ravenna, 2009.

[22] Angelo R. Pupino, La «Letteratura dell’Italia unita», in Gianfranco Contini vent’anni dopo (a cua di N. Merola), ETS,Firenze 2011, p.43.

[23] Ilaria Crotti, op.cit., p.95.