La poesia e la sapienza del mondo, di Marco Ceriani

L’altro mondo di Levi. Scienza e fantascienza nelle Storie naturali, di Alfredo Luzi

  




La pubblicazione del libro di racconti Storie Naturali avviene nel 1966 con lo pseudonimo di Damiano Malabaila. Scrive Levi: “Credevo di averlo scelto casualmente: è il nome di un esercente, davanti alla cui bottega passo due volte al giorno per andare al lavoro”.
[1]
Ma poi scopre, a livello semantico, che in piemontese Malabaila vuol dire: ‘cattiva balia’. E in effetti, egli dice:

 

Nei miei racconti spira un vago odore di latte girato a male, di nutrimento che non è più tale, insomma, di sofisticazione, di contaminazione e di malefizio. Veleno in luogo dell’alimento: e a questo proposito vorrei ricordare che per tutti noi superstiti, il Lager, nel suo aspetto più offensivo e imprevisto, era apparso proprio questo, un mondo alla rovescia, (mia sottolineatura) dove “fair is foul and foul is fair”, i professori lavorano di pala, gli assassini sono caposquadra e nell’ospedale si uccide.[2]

 

Ad una prima lettura il volume sembra molto lontano dalla tematica testimoniale delle opere più famose di Levi. Lo stesso autore dichiara che nella costruzione dei personaggi c’è una certa ‘frettolosità’:

 

Tutti questi racconti io li ho scritti quando lavoravo in fabbrica ed avevo fretta. Avevo fretta in fabbrica perché la vita di fabbrica - in una fabbrica seria come la mia - consiste nell’aver sempre troppe cose da fare; e in più c’era una mia fretta privata perché queste cose le scrivevo non durante le ore di lavoro, ma dopo. Quindi può darsi che si rifletta una fretta mia propria che era costante .[3]

 

Sicuramente ciò che colpisce a prima vista il lettore è la componente ironica, una atmosfera di ‘divertissement’ che sembra contrastare con i toni drammatici di Se questo è un uomo, Se non ora, quando etc.
Ma non dimentichiamo che Massimo Mila, in un articolo, “Il sapiente con la chiave a stella” ha scritto: “Direi che Levi era un umorista. Saba, a proposito di un altro ebreo, Svevo, ha detto che “l’umorismo è la forma suprema della bontà”.[4]
E questo vale anche per Levi. che ha sempre dichiarato di non portare odio nei confronti dei suoi aguzzini. Ma l’umorismo nasce anche dall’atteggiamento dello scrittore-chimico, interessato alle contraddizioni della vita, dello scrittore che, per sua stessa ammissione, dichiara di essere, letteralmente un ‘voyeur’; un osservatore, diremmo oggi un etologo.
Questa condizione è adombrata nel racconto Trattamento di quiescenza, in cui il personaggio rivive esperienze di realtà virtuale. Levi sembra addirittura essere stato profetico:

 L’ascoltatore, anzi il fruitore, non ha che da indossare un casco, e durante tutto lo svolgimento del nastro riceve l’intera e ordinata serie di sensazioni che il nastro stesso contiene: sensazioni visive, auditive, tattili, olfattive, gustative, cenestesiche e dolorose; inoltre, le sensazioni per così dire interne, che ognuno di noi allo stato di veglia riceve dalla propria memoria.

Insomma, tutti i messaggi afferenti che il cervello, o meglio (per dirla con Aristotele) l’intelletto paziente, è in grado di ricevere. La trasmissione non avviene attraverso gli organi di senso del fruitore, che restano tagliati fuori, bensì direttamente a livello nervoso, mediante un codice che la NATCA mantiene segreto: il risultato è quello di una esperienza totale.[5]

 
Ma è presente anche nel racconto La misura della bellezza, in cui il personaggio in prima persona dice:

 

È questa, di vedere non visto, principalmente se dall’alto, una occupazione che mi ha sempre appassionato. “Peeping Tom”, che preferì morire piuttosto che rinunciare a sbirciare Lady Godiva dalla fenditura delle persiane, è il mio eroe; spiare i miei simili, indipendentemente da quanto fanno o stanno per fare, e da ogni scoperta finale, mi dà una sensazione di potenza e di appagamento profondo: forse è un ricordo atavico delle attese estenuanti dei nostri proavi cacciatori, e riproduce le emozioni vitali dell’inseguimento e dell’agguato.[6]
 
L’attività di osservatore è dunque all’origine della narrazione che si sviluppa secondo uno schema molto vicino a quello dei romanzi gialli: da una congerie di indizi il narratore cerca di individuare una serie di rapporti, come in un thriller, per poi arrivare, dopo un lieve rallentamento del tempo di lettura, alla costruzione di un finale.
In Storie naturali l’ironia è un meccanismo aggiustatore, un contenuto stabilizzante (per usare il linguaggio di Wayne Booth).[7]
Eppure esiste un legame intimo tra l’opera precedente e quest’opera che si potrebbe collocare grosso modo nell’ambito della fantascienza.
In una intervista di Edoardo Fadini egli risponde:
 
No, non sono storie di fantascienza se per fantascienza si intende l’avvenirismo, la fantasia futuristica a buon mercato. Queste sono storie più possibili di tante altre. Anzi, talmente possibili che alcune si sono persino avverate. Per esempio quella del Versificatore (un poeta commerciale acquista una macchina per far versi per servire meglio la clientela; la macchina è poi l’autrice della stessa commedia che ascoltiamo); sono noti i tentativi, anche interessanti, già realizzati in questa direzione. Sì, sono storie che si svolgono ai margini della storia naturale, per questo le ho chiamate così, ma sono anche innaturali, se si guardano da un certo lato. Ed è ovvio che i due significati si incrocino [...]
Io sono un anfibio, un centauro (ho anche scritto dei racconti sui centauri). E mi pare che l’ambiguità della fantascienza rispecchi il mio destino attuale. Io sono diviso in due metà. Una è quella della fabbrica, sono un tecnico, un chimico. Un’altra, invece, è totalmente distaccata dalla prima, ed è quella nella quale scrivo, rispondo alle interviste, lavoro sulle mie esperienze passate e presenti. Sono proprio due mezzi cervelli [...] E sono due parti di me stesso talmente separate che sulla prima, quella della fabbrica, non riesco nemmeno a lavorarci su con la penna e con la fantasia [...] È L’ALTRO MONDO CHE SI REALIZZA NEI MIEI LIBRI [...] Ma tutto si è svolto al di fuori della mia vita di tutti i giorni. Stando così le cose, mi pare, è naturale che uno scriva di fantascienza. Queste Storie naturali sono inoltre le proposte della scienza e della tecnica viste dall’altra metà di me stesso in cui mi capita di vivere.[8]
 
Non c’è dunque altra prospettiva, per uscire dalla contaminazione del male che egli ha conosciuto attraverso la destituzione dell’uomo, che realizzare attraverso la scrittura, che per Levi coincide con la libertà, la proiezione nel mondo del possibile. Ma Levi precisa anche, in una intervista del ‘72 , che
 

Quando questa mia funzione (di scrittore d’occasione, testimone di importanti avvenimenti storici) si è esaurita mi sono accorto di non poter insistere sul registro autobiografico, e insieme di esser stato troppo “segnato” per poter scivolare nella fantascienza ortodossa: mi è sembrato allora che un certo tipo di fantascienza potesse soddisfare il desiderio di esprimermi che ancora provavo, e si prestasse a una forma di moderna allegoria .[9]

 
Tra le sue fonti Levi cita Verne, Wells, Swift, ma in qualche modo il retroterra ispirativo è molto più ampio e comprende non solo scrittori, ma anche filosofi, scienziati, biologi, zoologi.
L’attenzione alla biologia e alla zoologia deriva dalla suggestione di opere come Il mondo nuovo di Huxley e dagli studi di Lorenz. Ma è indubbio che, in Storie naturali, il rapporto tra natura e civiltà risente dell’etica della conoscenza del Monod di Il caso e la necessità, per trovare poi il suo sostrato nella problematica rousseauviana del rapporto tra umanità e animalità. L’atteggiamento etologico di Levi è confermato dal processo di regressione mimetica che egli adotta, avvicinando i livelli dell’istintuale e del razionale, nel continuo riferimento agli animali che caratterizza la tematica di Storie naturali.
Incontriamo galline, polli, rospi, orsi, angeliche farfalle, conigli, libellule, formiche, pesci-vacca, serpenti, termiti, superbestie e infine centauri. Ma il caso di più stretto contatto tra mondo animale e mondo umano è quello della tenia, del parassita (l’amico dell’uomo è il titolo chiaramente ironico del racconto) che cerca una forma di simbiosi con il corpo che lo ospita. E Levi, imitando per straniamento il linguaggio dei salmi biblici, si sofferma a descrivere i rapporti affettivi fra il parassita e l’ospite. In questo racconto sono anche citati scienziati come Serrurier, Flory (chimico e premio Nobel) e Bernard Losurdo che è un calco di Antonio Losurdo.
L’influenza di Darwin e dell’evoluzionismo, peraltro, è individuabile in testi come Angelica farfalla e Pieno impiego. Von Frisch (Il linguaggio delle api) viene chiaramente citato, mettendo in rapporto la vita gregaria delle api con quella sperimentata nel lager. Nel racconto De centauris inoltre Levi cita un libro di fantascienza di P.J.Farmer, in cui l’autore inventa un organo supplementare per risolvere le difficoltà di respirazione dei centauri.
Sul piano letterario è evidente la vicinanza con Conrad di Giovinezza (un tema ricorrente in Storie naturali: vedi La bella addormentata nel frigo) e con Saint-Exupéry, soprattutto nei riferimenti al volo, all’ascesa, alla liberazione dal peso della materia.
Ma è soprattutto la letteratura classica, da Plinio a Lucrezio a Rabelais, ad essere l’humus ispirativo delle Storie naturali. In fondo tutta l’opera di Levi è un grande affresco sulla ‘de rerum natura’.
Il titolo del volume è ovviamente ripreso da Plinio. E vorrei ricordare che Levi ha dedicato allo scrittore e naturalista latino una poesia Plinio, in cui questi, spinto dall’avventura della conoscenza, muore per essersi avvicinato troppo al vulcano Vesuvio: “Voglio osservare da presso quella nuvola fosca”.[10]
Ma Levi affida al titolo anche un valore antifrastico: naturali queste storie lo sono proprio perché prevedono l’errore, l’abnorme, l’imprevisto.
Levi chimico-scrittore, deportato-ritornato, scienziato-letterato, è nello stesso tempo autore di romanzi drammatici e di scherzi letterari, ed apre le Storie naturali con una citazione da Rabelais, in cui c’è il richiamo al mito, alla fecondità della natura, ai parti contro natura:
 
Car je vous dis que à Dieu rien n’est impossible. Et, s’il vouloit, les femmes auroient dorenavant ainsi leurs enfants par l’oreille.Bacchus ne fut il pas engendré par la cuisse de Jupiter?
Mais vous seriez bien davantaige esbahis et estonnés si je vous exposois presentement tout le chapitre de Pline, auquel parle des enfantements estranges et contre nature. Et toutesfois je ne suis point menteur tant asseuré comme il a esté. Lisez le septiesme de sa Naturelle Histoire, chap.III.[11]
 
In effetti il tema della genesi, della creazione, ritorna molto spesso in Storie naturali e ritengo che sia comunque da ricondurre al peso della sua presenza nella cultura ebraica.
In realtà nessuna pagina di Levi si distacca dall’evento iniziale, la deportazione ad Auschwitz. È dal campo di sterminio, dove, come dice Levi, “la morte era il prodotto principale”[12], che è nata la necessità di raccontare, di utilizzare la scrittura come terapia, come luogo espressivo di resistenza. Anche in Storie naturali si sente l’esigenza di Levi di avviare una comunicazione, mescolando l’influsso dell’oralità come rito collettivo di conoscenza (spesso in Storie naturali l’oggetto della scrittura è un racconto orale) alla necessità di testimoniare che, non a caso, è uno di temi ricorrenti nella fantascienza tradizionale secondo la sequenza narrativa canonica: ritorno da un altro mondo - risveglio dal sonno o dal sogno - valore della memoria e della ricezione sensoriale - racconto. Per contrasto nelle opere testimoniali di Levi è ricorrente il sogno di raccontare e di non essere ascoltato. Levi quindi è la persona che, come nella fantascienza, ritorna dal mondo dei morti, perché gli uomini non dimentichino.
In I mnemagoghi, ad es. è presente una tipica struttura enumerativa da racconto orale:
 
Parlò a lungo, dapprima con molte pause, poi più rapidamente [...] Si trattava evidentemente di un soliloquio, di una grande vacanza che Montesanto si stava concedendo. Per lui le occasioni di parlare (e si sentiva che sapeva parlare, che ne conosceva l’importanza) dovevano essere rare, brevi ritorni ad un antico vigore di pensiero ormai forse perduto.
Montesanto raccontava; della sua spietata iniziazione professionale, sui campi e nelle trincee dell’altra guerra; del suo tentativo di carriera universitaria, intrapreso con entusiasmo, continuato con apatia ed abbandonato tra l’indifferenza dei colleghi, che aveva fiaccato tutte le sue iniziative; del suo volontario esilio nella condotta sperduta, alla ricerca di qualcosa di troppo mal definibile per poter mai venire trovato; e poi la sua vita attuale di solitario.[13]
 
Il racconto intitolato Censura in Bitinia si sviluppa, invece, su un tono sarcastico contro i regimi totalitari che impongono la censura e vietano la libertà di comunicazione, dimostrando mancanza di intelligenza. Levi immagina un episodio di esecuzione dovuto ad un semplice refuso tipografico, il banale equivoco che scatena la reazione ottusa del potere, che nella parola “reggipento” invece di “reggimento” legge una allusione oscena. In questo caso la trasmissione orale è addirittura l’unica alternativa alla censura sui documenti scritti: si venne a sapere di altri episodi “di cui corse voce di bocca in bocca”.
Il racconto Il versificatore finisce con una ipotesi di autonomia creativa dello strumento: “gli ho insegnato a comporre in prosa e se la cava benissimo [...]. Il testo che avete ascoltato, ad esempio, è opera sua”.[14]
Anche in Quaestio de centauris ci sono spesso degli inserti che fanno riferimento alla narrazione orale e alla veridicità della storia raccontata:
 
lo attesta la storia che sto per raccontare...
(il maniscalco) raccontava all’intero villaggio del suo strano cliente...
Mi pesa scrivere questa storia. È una storia della mia giovinezza, e mi pare, scrivendola, di espellerla da me...[15]
 
In una conversazione con Anthony Rudolf, L. ha affermato che: “Raccontare una storia non è privilegio esclusivo dello scrittore. Tutti possono farlo, oralmente, verbalmente. Tutti dovrebbero farlo”.[16]
Ma il punto di partenza sta nella difesa della memoria, tavoletta di cera in cui si incidono non solo eventi ma anche odori e sapori e insieme prezioso magazzino nel quale rinvenire reperti che ci aiutino a capire come procede il mondo. Da una parte la mancanza di memoria è in Storie naturali indizio di incapacità a comprendere e ad interpretare la realtà (non a caso le galline di Censura in Bitinia, a differenza di altri animali, hanno la memoria evanescente e Maria, la smemorata di La bella addormentata nel frigo, ha “veramente una memoria da gallina”[17]); dall’altra Levi attribuisce alla memoria umana una grande funzione evocativa e di collegamento concettuale tra passato-presente e futuro. In Trattamento di quiescenza egli differenzia qualitativamente la memoria umana, che era alla base delle prove olfattive proposte dal personaggio Montesanto all’interlocutore Morandi (“i ricordi per essere suggestivi devono avere il sapore dell’antico”[18]) da quella tecnologica, sempre rinnovabile e concentrata sulla attualità (“Il Torec non dà assuefazione, purtroppo: ogni nastro può essere fruito infinite volte, ed ogni volta la memoria genuina si spegne, e si accende la memoria d’accatto che è incisa sul nastro stesso”[19]).
In I mnemagoghi (scritto nel ‘46) Levi, sulla base della sua esperienza di chimico e recuperando suggestioni letterarie che gli derivano da Baudelaire e Rimbaud, i poeti dei profumi, o psicologiche che lo avvicinano alla Gestalt, crea un personaggio che interroga la propria memoria attraverso gli odori. Ed ogni singolo odore, raccolto in boccette, determina il riemergere di una esperienza esistenziale (“Comprendo che per lei non sia niente: per me è la mia infanzia”[20] -esclama Morandi, aspirando da una boccetta). D’altronde nel saggio Il linguaggio degli odori Levi ha parlato dell’“odore di Polonia”: “innocuo, sprigionato dal carbon fossile usato per il riscaldamento delle case, mi ha percosso come una mazzata: ha risvegliato a un tratto un intero universo di ricordi, brutali e concreti, che giacevano assopiti, e mi ha mozzato il fiato”.[21]
Ricordare dunque non è mettere a fuoco razionalmente una situazione pregressa ma riassaporare un grumo di sensazioni sedimentate.
Dice ancora Levi: “è anche vero che un ricordo troppo spesso evocato, ed espresso in forma di racconto, tende a fissarsi in uno stereotipo, in una forma collaudata dall’esperienza, cristallizzata, perfezionata, adorna, che si installa al posto del ricordo greggio e cresce a sue spese”.[22]
Egli insiste così sulla reattività sensoriale dell’individuo che lascia le tracce della sua esistenza nel suo DNA, lo scrigno della nostra soggettiva memoria biologica.
Nel misterioso cammino dal non vivente al vivente, dall’oscurità profonda del grembo terreno dagli archetipi ctonii alla fecondazione totale (“panspermia”) Levi trova il punto di contatto tra creazione ed evoluzione.
In questo senso è emblematico il racconto Quaestio de centauris, scritto agli inizi degli anni ‘60 e pubblicato sul “Mondo” nel ‘61.
Egli riprende il mito greco del centauro (simbolo della commistione tra istinto e raziocinio) ma nello stesso tempo rielabora un mito ebraico. Dal fango, dall’argilla ha origine la vita. E il Noè centauresco non ospita nell’arca animali immondi ma solo le specie archetipe. Attraverso la presenza totale dell’amore (“la terra fornicava col cielo”) l’universo è un ribollire di fecondità, quasi un ritorno al caos primigenio. In questa cosmogonia scandita da parti e germinazioni, attraverso l’innamoramento di Trachi, il centauro, per Teresa De Simone, la fanciulla amica d’infanzia del protagonista-narratore), s’innesta il tema dell’evoluzione ( “sto mutando”; “sono diventato un altro”): e non dimentichiamo che il mutamento è uno dei topoi narrativi della fantascienza: i mutanti, gli alieni, etc.
Ma per un tradimento sessuale dell’uomo, si rompe l’armonia cosmogonica tra uomini e animali e Trachi si vendicherà trasformando la sua ‘vis’ erotica in violenza distruttrice, restando per sempre lontano dal mondo degli uomini.
Ma la Quaestio è anche emblematica da un punto di vista stilistico, strutturata com’è tra cultura classica e cultura ebraica, tra linguaggio classico-mitologico e linguaggio scientifico, tra nascita (il suo luogo di nascita era Colofone = compimento) e nozze (unione di sessi diversi, nostalgia dell’unità ermafrodita).
Nella condizione prebiotica descritta nella Quaestio si determina il gioco aleatorio e combinatorio comune alla chimica e alla scrittura, che porta alla complessità del reale. Dal caos come morte, come lager, al disordine come energia vitalistica.
Il tema della creazione è anche l’asse portante del racconto Il sesto giorno.
Levi ironizza, imitando il linguaggio burocratico e retorico dei consigli d’amministrazione delle società industriali, su un progetto di creazione dell’uomo da parte delle divinità zoroastriane del bene e del male, continuamente rinviato per i conflitti di competenza tra vari consiglieri, psicologo, ministro delle acque, anatomista, che non riescono a trovare un accordo tra gli ipotetici modelli di uomo (uccello, mammifero, terrestre o acquatico, con o senza cervello, sessuato o meno). Fin quando non arriva la notizia che ormai ogni discussione è inutile perché il Signore ha impastato 7 misure d’argilla con acqua di fiume e di mare ed ha creato l’uomo.
Anche questo racconto oscilla fra la problematica della creazione e quella dell’evoluzione. In una ambientazione arcaica su tema tecnologico moderno, Levi torna sul rapporto uomo-bestia e uomo-donna.
Con modalità diverse, anche altri racconti affrontano l’argomento della creazione, come Angelica farfalla (ambientato in Germania) o come L’ordine a buon mercato (che affronta il tema inquietante della clonazione, che non riesce mai perfettamente perché subentra sempre il caso, l’errore, l’imprevisto).
Ciò che interessa a Levi è ribadire la forza generatrice dell’ibrido, della commistione.
Anche se drammaticamente egli ha scoperto che “l’ibrido è l’uomo dopo Auschwitz”[23]; sa anche che è dalla commistione, dall’impuro, dall’annullamento dei confini fra animale e vegetale, fra meccanico e organico, fra animato ed inerte, che può nascere il sogno alchemico di una ‘creazione seconda’, cullato dalla chimica e realizzato per forza metaforica dalla letteratura.
Levi ha detto: “Ibrido io sono nel profondo e non è un caso che l’ibridismo tanto profondamente compaia nei miei racconti”.[24] Ma l’ibridismo come sostrato generativo di una nuova forma di conoscenza si ritrova anche nello stile di Levi.
Dalla lingua classica (utilizzata nella chimica come matrice di segno distintivo) Levi deriva una consapevolezza etimologica e semiotica su cui innesta lo sperimentalismo linguistico fondato sulla tradizione ebraica che fa del multilinguismo (l’impasto dell’yiddish) una struttura mentale che porta allo sforzo conoscitivo e successivamente ad un’etica del sapere e dell’agire. La lingua, dunque, anche sul piano etico, ha il compito di ordinare il caos.
Levi, in fondo privilegiato proprio dalla sua condizione di centauro, di ibrido, vuole rompere il muro d’incomprensione, d’isolamento tra la cultura umanistica e la cultura scientifica. Nella introduzione a L’altrui mestiere egli sostiene che nel mondo attuale scienza e letteratura devono fare a meno del principio di certezza. E d’altro canto Popper ha sostenuto che “il mondo è aperto”.
La scienza e la tecnica sono nate non per verificare le regolarità ma per fabbricare eccezioni, anomalie, capricci della ragione.
Ecco perché, nei racconti di Storie naturali, in linea con le strategie narrative dei testi di fantascienza ottocentesca e novecentesca, è sempre presente il meccanismo (ben conosciuto dal chimico) dell’errore.
Il versificatore si mette a comporre rime senza senso, obbligato comunque al rispetto della versificazione, in Angelica farfalla, l’axolotl, animale che si riproduce allo stato larvale senza completare il ciclo evolutivo, è una sorta di scandalo biologico. In Versamina l’errore determina il rovesciamento dei comportamenti. In Trattamento di quiescenza un errore di lettura del nastro del TOREC: Total Recorder, determina lo scambio di sensazioni e l’equivoco sessuale: il protagonista uomo che vuol vivere l’esperienza virtuale di un incontro sessuale la percepisce come se fosse la donna da incontrare.
Ciò spiega anche il fatto che spesso nei racconti di SN ci imbattiamo in figure di scienziati in bilico tra la monomania della ricerca e la follia. In I mnemagoghi il medico è “uno strano vecchio”, Il versificatore è ‘foolproof”= a prova di pazzo, in Angelica farfalla “Leeb era una strana persona”; in Alcune applicazioni del Mimete, Gilberto è uno sperimentatore un po’ matto quando cerca di duplicare sua moglie, fino all’autoironia di Versamina (“non gli mancava neppure quel filo di follia che nel nostro lavoro non guasta”). Insomma la follia è vista coma scarto dalla norma ma anche come irruzione dell’errore nel codice genetico umano.
Come per Calvino, anche per Levi c’è una sorta di erranza, un mutuo trascinamento tra le due culture. Su questa base possiamo individuare in Levi una epistemologia implicitamente antidogmatica.
La scienza, la tecnica, la letteratura derivano tutte da un istinto quasi biologico alla conoscenza; le accomuna l’idea di fare, di produrre, di trasformare, del ‘poiein’ appunto. Esse non fanno altro che costruire l’ordine, dando un senso all’apparente disordine del mondo e dell’universo. Cucire molecole e cucire parole può avere la stessa finalità: collocare un elemento al posto giusto, determinare simmetrie euristiche. Levi stesso ha detto: “Scrivo proprio perché sono un chimico: il mio vecchio mestiere si è largamente trasfuso nel nuovo”.[25]
Addirittura, linguistica e genetica sono apparentate da un linguaggio comune: si pensi all’uso di termini come “codice, ridondanza, pregnanza, ambiguità ”.
La letteratura dunque è la chimica delle parole come la chimica è la letteratura della vita.
Ma tutti i sistemi organici complessi, quindi anche quello umano-sociale, hanno bisogno di una lingua, di una organizzazione di segni riconoscibili. Da qui l’importanza del nome che in Storie naturali si individua nella variabilità etimologica, nelle invenzioni lessicali, nelle allusioni semantiche ma che, per contrasto, in Se questo è un uomo si era rivelata nell’annullamento d’identità, nella perdita del soggetto trasformato in numero, in “pezzo”.
Consapevole della necessità del segno, Levi, anche in Storie naturali, ha adempiuto al suo ruolo di ‘scriba’, d’esegeta che interpreta e fissa la tradizione orale. Per lui, parafrasando il titolo di Jorge Semprùn, “la escritura es la vida”. Ma, trasformando per noi la scrittura in un altro sogno, come in questi racconti, ha poi lasciato il suo monito di testimonianza legata al dolore:
 
Pensava una cosa che non aveva pensata da molto tempo, poiché aveva sofferto assai: che il dolore non si può togliere, non si deve, perché è il nostro guardiano. Spesso è un guardiano sciocco, perché è inflessibile, è fedele alla sua consegna con ostinazione maniaca, e non si stanca mai, mentre tutte le altre sensazioni si stancano, si logorano, specialmente quelle piacevoli. Ma non si può sopprimerlo, farlo tacere, perché è tutt’uno con la vita, ne è il custode.[26]

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Como citar: LUZI, Alfredo. "L’altro mondo di Levi. Cienza e fantascienza nelle Storie naturali". In "Literatura Italiana Traduzida", v. 1, n. 12, dez. 2020. 
Disponível em:https://repositorio.ufsc.br/handle/123456789/218286



[1] POLI, Gabriella - CALCAGNO, Giorgio. Echi di una voce perduta. Incontri, interviste e conversazioni con Primo Levi. Milano: Mursia, 1992, p. 37.
[2] Idem
[3] BELPOLITI, Marco (org.). Primo Levi. Milano: Riga 13 - Marcos y Marcos, 1997, p.75.
[4] MILA, Massimo. “Il sapiente con la chiave a stella”, in “La Stampa”, 14/4/87, poi in Scritti civili. Torino: Einaudi, 1995
[5] LEVI, Primo. Storie naturali, in Opere ,vol.III. Torino: Einaudi, 1990, p.166
[6] Idem, p. 109
[7] Cf. BOOTH, Wayne C. A rethoric of Irony. Chicago/London: University of Chicago Press, 1974.
[8] LEVI, Primo. Conversazioni e interviste (1963-1987). Torino: Einaudi, 1997, p. 106-107.
[9] Idem, p. 150.
[10] LEVI, Primo. Ad ora incerta, in Opere, vol.II. Torino: Einaudi, 1988, p.552
[11] LEVI, Primo. Storie naturali, op.cit., p. 3
[12]LEVI, Primo. Conversazione con Alberto Gozzi. Riga 13, op.cit., p.95.
[13] LEVI, Primo. Storie naturali, op.cit., p.7.
[14] Idem, p. 41.
[15] Ibidem, pp. 121-126, passim.
[16] BELPOLITI, Marco. Primo Levi, Riga 13, op.cit., p. 104.
[17] LEVI, Primo. Storie naturali, op.cit., p. 92.
[18] Idem, p.11.
[19] Ibidem, p. 183.
[20] Ibidem, p. 10.
[21] LEVI, Primo. L’altrui mestiere. Torino: Einaudi, 1985, p. 229.
[22] LEVI, Primo. I sommersi e i salvati, in Opere, vol.I. Torino: Einaudi, 1987, p. 664.
[23] BELPOLITI, Marco. Primo Levi. Riga 13, op.cit., p. 189.
[24] POLI, Gabriella - CALCAGNO, Giorgio. Echi di una voce perduta. Incontri, interviste e conversazioni con Primo Levi., op.cit.
[25] LEVI, Primo. L’altrui mestiere.Torino: Einaudi, 1985, p. 14.
[26] LEVI, Primo. Storie naturali, op.cit., p. 87-88.