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Literatura Italiana Traduzida ISSN 2675-4363
Alfredo Luzi
Primo Levi
Storie naturali
em
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Ma poi scopre, a livello semantico, che in
piemontese Malabaila vuol dire: ‘cattiva balia’. E in effetti, egli dice:
Nei miei
racconti spira un vago odore di latte girato a male, di nutrimento che non è
più tale, insomma, di sofisticazione, di contaminazione e di malefizio. Veleno
in luogo dell’alimento: e a questo proposito vorrei ricordare che per tutti noi
superstiti, il Lager, nel suo aspetto più offensivo e imprevisto, era apparso
proprio questo, un mondo alla rovescia,
(mia sottolineatura) dove “fair is foul and foul is fair”, i professori
lavorano di pala, gli assassini sono caposquadra e nell’ospedale si uccide.[2]
Ad una prima lettura il
volume sembra molto lontano dalla tematica testimoniale delle opere più famose
di Levi. Lo stesso autore dichiara che nella costruzione dei personaggi c’è una
certa ‘frettolosità’:
Tutti
questi racconti io li ho scritti quando lavoravo in fabbrica ed avevo fretta.
Avevo fretta in fabbrica perché la vita di fabbrica - in una fabbrica seria
come la mia - consiste nell’aver sempre troppe cose da fare; e in più c’era una
mia fretta privata perché queste cose le scrivevo non durante le ore di lavoro,
ma dopo. Quindi può darsi che si rifletta una fretta mia propria che era
costante .[3]
Sicuramente ciò che
colpisce a prima vista il lettore è la componente ironica, una atmosfera di
‘divertissement’ che sembra contrastare con i toni drammatici di Se questo è un uomo, Se non ora, quando etc.
Ma non dimentichiamo che
Massimo Mila, in un articolo, “Il sapiente con la chiave a stella” ha scritto: “Direi
che Levi era un umorista. Saba, a proposito di un altro ebreo, Svevo, ha detto
che “l’umorismo è la forma suprema della bontà”.[4]
E questo vale anche per Levi.
che ha sempre dichiarato di non portare odio nei confronti dei suoi aguzzini.
Ma l’umorismo nasce anche dall’atteggiamento dello scrittore-chimico,
interessato alle contraddizioni della vita, dello scrittore che, per sua stessa
ammissione, dichiara di essere, letteralmente un ‘voyeur’; un osservatore,
diremmo oggi un etologo.
Questa condizione è
adombrata nel racconto Trattamento di
quiescenza, in cui il personaggio rivive esperienze di realtà virtuale. Levi
sembra addirittura essere stato profetico:
Insomma, tutti
i messaggi afferenti che il cervello, o meglio (per dirla con Aristotele)
l’intelletto paziente, è in grado di ricevere. La trasmissione non avviene
attraverso gli organi di senso del fruitore, che restano tagliati fuori, bensì
direttamente a livello nervoso, mediante un codice che
Ma è presente anche nel
racconto La misura della bellezza, in
cui il personaggio in prima persona dice:
È questa,
di vedere non visto, principalmente se dall’alto, una occupazione che mi ha
sempre appassionato. “Peeping Tom”, che preferì morire piuttosto che rinunciare
a sbirciare Lady Godiva dalla fenditura delle persiane, è il mio eroe; spiare i
miei simili, indipendentemente da quanto fanno o stanno per fare, e da ogni
scoperta finale, mi dà una sensazione di potenza e di appagamento profondo:
forse è un ricordo atavico delle attese estenuanti dei nostri proavi
cacciatori, e riproduce le emozioni vitali dell’inseguimento e dell’agguato.[6]
L’attività di osservatore
è dunque all’origine della narrazione che si sviluppa secondo uno schema molto
vicino a quello dei romanzi gialli: da una congerie di indizi il narratore
cerca di individuare una serie di rapporti, come in un thriller, per poi
arrivare, dopo un lieve rallentamento del tempo di lettura, alla costruzione di
un finale.
In Storie naturali l’ironia è un meccanismo aggiustatore, un contenuto
stabilizzante (per usare il linguaggio di Wayne Booth).[7]
Eppure esiste un legame
intimo tra l’opera precedente e quest’opera che si potrebbe collocare grosso
modo nell’ambito della fantascienza.
In una intervista di Edoardo Fadini egli
risponde:
No, non
sono storie di fantascienza se per fantascienza si intende l’avvenirismo, la
fantasia futuristica a buon mercato. Queste sono storie più possibili di tante altre. Anzi, talmente possibili che alcune
si sono persino avverate. Per esempio quella del Versificatore (un poeta commerciale acquista una macchina per far versi per servire
meglio la clientela; la macchina è poi l’autrice della stessa commedia che
ascoltiamo); sono noti i tentativi, anche interessanti, già realizzati in
questa direzione. Sì, sono storie che si svolgono ai margini della storia
naturale, per questo le ho chiamate così, ma sono anche innaturali, se si
guardano da un certo lato. Ed è ovvio che i due significati si incrocino [...]
Io sono un
anfibio, un centauro (ho anche scritto dei racconti sui centauri). E mi pare
che l’ambiguità della fantascienza rispecchi il mio destino attuale. Io sono
diviso in due metà. Una è quella della fabbrica, sono un tecnico, un chimico.
Un’altra, invece, è totalmente distaccata dalla prima, ed è quella nella quale
scrivo, rispondo alle interviste, lavoro sulle mie esperienze passate e
presenti. Sono proprio due mezzi cervelli [...] E sono due parti di me stesso
talmente separate che sulla prima, quella della fabbrica, non riesco nemmeno a
lavorarci su con la penna e con la fantasia [...] È L’ALTRO MONDO CHE SI
REALIZZA NEI MIEI LIBRI [...] Ma tutto si è svolto al di fuori della mia vita di tutti i giorni. Stando così le cose,
mi pare, è naturale che uno scriva di fantascienza. Queste Storie naturali sono
inoltre le proposte della scienza e della tecnica viste dall’altra metà di me
stesso in cui mi capita di vivere.[8]
Non c’è dunque altra
prospettiva, per uscire dalla contaminazione del male che egli ha conosciuto
attraverso la destituzione dell’uomo, che realizzare attraverso la scrittura,
che per Levi coincide con la libertà, la proiezione nel mondo del possibile. Ma
Levi precisa anche, in una intervista del ‘72 , che
Quando
questa mia funzione (di scrittore d’occasione, testimone di importanti
avvenimenti storici) si è esaurita mi sono accorto di non poter insistere sul
registro autobiografico, e insieme di esser stato troppo “segnato” per poter
scivolare nella fantascienza ortodossa: mi è sembrato allora che un certo tipo
di fantascienza potesse soddisfare il desiderio di esprimermi che ancora
provavo, e si prestasse a una forma di moderna allegoria .[9]
Tra le sue fonti Levi
cita Verne, Wells, Swift, ma in qualche modo il retroterra ispirativo è molto
più ampio e comprende non solo scrittori, ma anche filosofi, scienziati,
biologi, zoologi.
L’attenzione alla
biologia e alla zoologia deriva dalla suggestione di opere come Il mondo nuovo di Huxley e dagli studi
di Lorenz. Ma è indubbio che, in Storie naturali, il rapporto tra natura e
civiltà risente dell’etica della conoscenza del Monod di Il caso e la necessità, per trovare poi il suo sostrato nella
problematica rousseauviana del rapporto tra umanità e animalità.
L’atteggiamento etologico di Levi è confermato dal processo di regressione
mimetica che egli adotta, avvicinando i livelli dell’istintuale e del
razionale, nel continuo riferimento agli animali che caratterizza la tematica
di Storie naturali.
Incontriamo galline,
polli, rospi, orsi, angeliche farfalle, conigli, libellule, formiche, pesci-vacca,
serpenti, termiti, superbestie e infine centauri. Ma il caso di più stretto
contatto tra mondo animale e mondo umano è quello della tenia, del parassita
(l’amico dell’uomo è il titolo chiaramente ironico del racconto) che cerca una
forma di simbiosi con il corpo che lo ospita. E Levi, imitando per straniamento
il linguaggio dei salmi biblici, si sofferma a descrivere i rapporti affettivi
fra il parassita e l’ospite. In questo racconto sono anche citati scienziati
come Serrurier, Flory (chimico e premio Nobel) e Bernard Losurdo che è un calco
di Antonio Losurdo.
L’influenza di Darwin e
dell’evoluzionismo, peraltro, è individuabile in testi come Angelica farfalla e Pieno impiego. Von Frisch (Il
linguaggio delle api) viene chiaramente citato, mettendo in rapporto la
vita gregaria delle api con quella sperimentata nel lager. Nel racconto De centauris inoltre Levi cita un libro
di fantascienza di P.J.Farmer, in cui l’autore inventa un organo supplementare
per risolvere le difficoltà di respirazione dei centauri.
Sul piano letterario è
evidente la vicinanza con Conrad di Giovinezza
(un tema ricorrente in Storie
naturali: vedi La bella addormentata
nel frigo) e con Saint-Exupéry, soprattutto nei riferimenti al volo,
all’ascesa, alla liberazione dal peso della materia.
Ma è soprattutto la
letteratura classica, da Plinio a Lucrezio a Rabelais, ad essere l’humus
ispirativo delle Storie naturali. In
fondo tutta l’opera di Levi è un grande affresco sulla ‘de rerum natura’.
Il titolo del volume è
ovviamente ripreso da Plinio. E vorrei ricordare che Levi ha dedicato allo
scrittore e naturalista latino una poesia Plinio,
in cui questi, spinto dall’avventura della conoscenza, muore per essersi
avvicinato troppo al vulcano Vesuvio: “Voglio osservare da presso quella nuvola
fosca”.[10]
Ma Levi affida al titolo
anche un valore antifrastico: naturali queste storie lo sono proprio perché
prevedono l’errore, l’abnorme, l’imprevisto.
Levi chimico-scrittore,
deportato-ritornato, scienziato-letterato, è nello stesso tempo autore di
romanzi drammatici e di scherzi letterari, ed apre le Storie naturali con una citazione da Rabelais, in cui c’è il
richiamo al mito, alla fecondità della natura, ai parti contro natura:
Car je vous dis que à Dieu rien n’est impossible. Et,
s’il vouloit, les femmes auroient dorenavant ainsi leurs enfants par
l’oreille.Bacchus ne fut il pas engendré par la cuisse de Jupiter?
Mais vous seriez bien davantaige esbahis et estonnés
si je vous exposois presentement tout le chapitre de Pline, auquel parle des
enfantements estranges et contre nature. Et toutesfois je ne suis point menteur tant asseuré
comme il a esté. Lisez
le septiesme de sa Naturelle Histoire,
chap.III.[11]
In effetti il tema della
genesi, della creazione, ritorna molto spesso in Storie naturali e ritengo che sia comunque da ricondurre al peso
della sua presenza nella cultura ebraica.
In realtà nessuna pagina
di Levi si distacca dall’evento iniziale, la deportazione ad Auschwitz. È dal
campo di sterminio, dove, come dice Levi, “la morte era il prodotto principale”[12],
che è nata la necessità di raccontare, di utilizzare la scrittura come terapia,
come luogo espressivo di resistenza. Anche in Storie naturali si sente l’esigenza di Levi di avviare una
comunicazione, mescolando l’influsso dell’oralità come rito collettivo di
conoscenza (spesso in Storie naturali
l’oggetto della scrittura è un racconto orale) alla necessità di testimoniare che,
non a caso, è uno di temi ricorrenti nella fantascienza tradizionale secondo la
sequenza narrativa canonica: ritorno da un altro mondo - risveglio dal sonno o
dal sogno - valore della memoria e della ricezione sensoriale - racconto. Per
contrasto nelle opere testimoniali di Levi è ricorrente il sogno di raccontare
e di non essere ascoltato. Levi quindi è la persona che, come nella
fantascienza, ritorna dal mondo dei morti, perché gli uomini non dimentichino.
In I mnemagoghi, ad es. è presente una tipica struttura enumerativa da
racconto orale:
Parlò a
lungo, dapprima con molte pause, poi più rapidamente [...] Si trattava
evidentemente di un soliloquio, di una grande vacanza che Montesanto si stava
concedendo. Per lui le occasioni di parlare (e si sentiva che sapeva parlare,
che ne conosceva l’importanza) dovevano essere rare, brevi ritorni ad un antico
vigore di pensiero ormai forse perduto.
Montesanto
raccontava; della sua spietata iniziazione professionale, sui campi e nelle
trincee dell’altra guerra; del suo tentativo di carriera universitaria, intrapreso
con entusiasmo, continuato con apatia ed abbandonato tra l’indifferenza dei
colleghi, che aveva fiaccato tutte le sue iniziative; del suo volontario esilio
nella condotta sperduta, alla ricerca di qualcosa di troppo mal definibile per
poter mai venire trovato; e poi la sua vita attuale di solitario.[13]
Il racconto intitolato Censura in Bitinia si sviluppa, invece,
su un tono sarcastico contro i regimi totalitari che impongono la censura e
vietano la libertà di comunicazione, dimostrando mancanza di intelligenza. Levi
immagina un episodio di esecuzione dovuto ad un semplice refuso tipografico, il
banale equivoco che scatena la reazione ottusa del potere, che nella parola
“reggipento” invece di “reggimento” legge una allusione oscena. In questo caso
la trasmissione orale è addirittura l’unica alternativa alla censura sui
documenti scritti: si venne a sapere di altri episodi “di cui corse voce di
bocca in bocca”.
Il racconto Il versificatore finisce con una ipotesi
di autonomia creativa dello strumento: “gli ho insegnato a comporre in prosa e
se la cava benissimo [...]. Il testo che avete ascoltato, ad esempio, è opera
sua”.[14]
Anche in Quaestio de centauris ci sono spesso
degli inserti che fanno riferimento alla narrazione orale e alla veridicità
della storia raccontata:
lo attesta la storia che sto per
raccontare...
(il maniscalco) raccontava
all’intero villaggio del suo strano cliente...
Mi pesa scrivere questa storia. È
una storia della mia giovinezza, e mi pare, scrivendola, di espellerla da me...[15]
In una conversazione con
Anthony Rudolf, L. ha affermato che: “Raccontare una storia non è privilegio
esclusivo dello scrittore. Tutti possono farlo, oralmente, verbalmente. Tutti
dovrebbero farlo”.[16]
Ma il punto di partenza
sta nella difesa della memoria, tavoletta di cera in cui si incidono non solo
eventi ma anche odori e sapori e insieme prezioso magazzino nel quale rinvenire
reperti che ci aiutino a capire come procede il mondo. Da una parte la mancanza
di memoria è in Storie naturali indizio di incapacità a comprendere e ad
interpretare la realtà (non a caso le galline di Censura in Bitinia, a differenza di altri animali, hanno la memoria
evanescente e Maria, la smemorata di La
bella addormentata nel frigo, ha
“veramente una memoria da gallina”[17]);
dall’altra Levi attribuisce alla
memoria umana una grande funzione evocativa e di collegamento concettuale tra
passato-presente e futuro. In Trattamento
di quiescenza egli differenzia qualitativamente la memoria umana, che era
alla base delle prove olfattive proposte dal personaggio Montesanto
all’interlocutore Morandi (“i ricordi per essere suggestivi devono avere il
sapore dell’antico”[18])
da quella tecnologica, sempre rinnovabile e concentrata sulla attualità (“Il
Torec non dà assuefazione, purtroppo: ogni nastro può essere fruito infinite
volte, ed ogni volta la memoria genuina si spegne, e si accende la memoria
d’accatto che è incisa sul nastro stesso”[19]).
In I mnemagoghi (scritto nel ‘46) Levi, sulla base della sua
esperienza di chimico e recuperando suggestioni letterarie che gli derivano da
Baudelaire e Rimbaud, i poeti dei profumi, o psicologiche che lo avvicinano
alla Gestalt, crea un personaggio che interroga la propria memoria attraverso gli
odori. Ed ogni singolo odore, raccolto in boccette, determina il riemergere di
una esperienza esistenziale (“Comprendo che per lei non sia niente: per me è la
mia infanzia”[20]
-esclama Morandi, aspirando da una boccetta). D’altronde nel saggio Il linguaggio degli odori Levi ha
parlato dell’“odore di Polonia”: “innocuo, sprigionato dal carbon fossile usato
per il riscaldamento delle case, mi ha percosso come una mazzata: ha
risvegliato a un tratto un intero universo di ricordi, brutali e concreti, che
giacevano assopiti, e mi ha mozzato il fiato”.[21]
Ricordare dunque non è
mettere a fuoco razionalmente una situazione pregressa ma riassaporare un grumo
di sensazioni sedimentate.
Dice ancora Levi: “è
anche vero che un ricordo troppo spesso evocato, ed espresso in forma di
racconto, tende a fissarsi in uno stereotipo, in una forma collaudata
dall’esperienza, cristallizzata, perfezionata, adorna, che si installa al posto
del ricordo greggio e cresce a sue spese”.[22]
Egli insiste così sulla
reattività sensoriale dell’individuo che lascia le tracce della sua esistenza
nel suo DNA, lo scrigno della nostra soggettiva memoria biologica.
Nel misterioso cammino
dal non vivente al vivente, dall’oscurità profonda del grembo terreno dagli
archetipi ctonii alla fecondazione totale (“panspermia”) Levi trova il punto di
contatto tra creazione ed evoluzione.
In questo senso è
emblematico il racconto Quaestio de
centauris, scritto agli inizi degli anni ‘60 e pubblicato sul “Mondo” nel
‘61.
Egli riprende il mito
greco del centauro (simbolo della commistione tra istinto e raziocinio) ma
nello stesso tempo rielabora un mito ebraico. Dal fango, dall’argilla ha
origine la vita. E il Noè centauresco non ospita nell’arca animali immondi ma
solo le specie archetipe. Attraverso la presenza totale dell’amore (“la terra
fornicava col cielo”) l’universo è un ribollire di fecondità, quasi un ritorno
al caos primigenio. In questa cosmogonia scandita da parti e germinazioni,
attraverso l’innamoramento di Trachi, il centauro, per Teresa De Simone, la
fanciulla amica d’infanzia del protagonista-narratore), s’innesta il tema
dell’evoluzione ( “sto mutando”; “sono diventato un altro”): e non
dimentichiamo che il mutamento è uno dei topoi narrativi della fantascienza: i
mutanti, gli alieni, etc.
Ma per un tradimento
sessuale dell’uomo, si rompe l’armonia cosmogonica tra uomini e animali e
Trachi si vendicherà trasformando la sua ‘vis’ erotica in violenza
distruttrice, restando per sempre lontano dal mondo degli uomini.
Ma la Quaestio è anche emblematica da un punto
di vista stilistico, strutturata com’è tra cultura classica e cultura ebraica,
tra linguaggio classico-mitologico e linguaggio scientifico, tra nascita (il
suo luogo di nascita era Colofone = compimento) e nozze (unione di sessi
diversi, nostalgia dell’unità ermafrodita).
Nella condizione
prebiotica descritta nella Quaestio si
determina il gioco aleatorio e combinatorio comune alla chimica e alla
scrittura, che porta alla complessità del reale. Dal caos come morte, come
lager, al disordine come energia vitalistica.
Il tema della creazione è
anche l’asse portante del racconto Il
sesto giorno.
Levi ironizza, imitando
il linguaggio burocratico e retorico dei consigli d’amministrazione delle
società industriali, su un progetto di creazione dell’uomo da parte delle
divinità zoroastriane del bene e del male, continuamente rinviato per i
conflitti di competenza tra vari consiglieri, psicologo, ministro delle acque,
anatomista, che non riescono a trovare un accordo tra gli ipotetici modelli di
uomo (uccello, mammifero, terrestre o acquatico, con o senza cervello, sessuato
o meno). Fin quando non arriva la notizia che ormai ogni discussione è inutile
perché il Signore ha impastato 7 misure d’argilla con acqua di fiume e di mare
ed ha creato l’uomo.
Anche questo racconto
oscilla fra la problematica della creazione e quella dell’evoluzione. In una
ambientazione arcaica su tema tecnologico moderno, Levi torna sul rapporto
uomo-bestia e uomo-donna.
Con modalità diverse,
anche altri racconti affrontano l’argomento della creazione, come Angelica farfalla (ambientato in
Germania) o come L’ordine a buon mercato (che
affronta il tema inquietante della clonazione, che non riesce mai perfettamente
perché subentra sempre il caso, l’errore, l’imprevisto).
Ciò che interessa a Levi
è ribadire la forza generatrice dell’ibrido,
della commistione.
Anche se drammaticamente
egli ha scoperto che “l’ibrido è l’uomo dopo Auschwitz”[23];
sa anche che è dalla commistione, dall’impuro, dall’annullamento dei confini
fra animale e vegetale, fra meccanico e organico, fra animato ed inerte, che
può nascere il sogno alchemico di una ‘creazione seconda’, cullato dalla
chimica e realizzato per forza metaforica dalla letteratura.
Levi ha detto: “Ibrido io
sono nel profondo e non è un caso che l’ibridismo tanto profondamente compaia
nei miei racconti”.[24]
Ma l’ibridismo come sostrato generativo di una nuova forma di conoscenza si
ritrova anche nello stile di Levi.
Dalla lingua classica
(utilizzata nella chimica come matrice di segno distintivo) Levi deriva una
consapevolezza etimologica e semiotica su cui innesta lo sperimentalismo
linguistico fondato sulla tradizione ebraica che fa del multilinguismo
(l’impasto dell’yiddish) una struttura mentale che porta allo sforzo
conoscitivo e successivamente ad un’etica del sapere e dell’agire. La lingua,
dunque, anche sul piano etico, ha il compito di ordinare il caos.
Levi, in fondo
privilegiato proprio dalla sua condizione di centauro, di ibrido, vuole rompere
il muro d’incomprensione, d’isolamento tra la cultura umanistica e la cultura
scientifica. Nella introduzione a L’altrui
mestiere egli sostiene che nel mondo attuale scienza e letteratura devono
fare a meno del principio di certezza.
E d’altro canto Popper ha sostenuto che “il mondo è aperto”.
La scienza e la tecnica
sono nate non per verificare le regolarità ma per fabbricare eccezioni,
anomalie, capricci della ragione.
Ecco perché, nei racconti
di Storie naturali, in linea con le
strategie narrative dei testi di fantascienza ottocentesca e novecentesca, è
sempre presente il meccanismo (ben conosciuto dal chimico) dell’errore.
Il versificatore si mette
a comporre rime senza senso, obbligato comunque al rispetto della
versificazione, in Angelica farfalla,
l’axolotl, animale che si riproduce allo stato larvale senza completare il
ciclo evolutivo, è una sorta di scandalo biologico. In Versamina l’errore determina il rovesciamento dei comportamenti. In
Trattamento di quiescenza un errore
di lettura del nastro del TOREC: Total Recorder, determina lo scambio di
sensazioni e l’equivoco sessuale: il protagonista uomo che vuol vivere
l’esperienza virtuale di un incontro sessuale la percepisce come se fosse la
donna da incontrare.
Ciò spiega anche il fatto
che spesso nei racconti di SN ci imbattiamo in figure di scienziati in bilico
tra la monomania della ricerca e la follia. In I mnemagoghi il medico è “uno strano vecchio”, Il versificatore è ‘foolproof”= a prova di pazzo, in Angelica farfalla “Leeb era una strana
persona”; in Alcune applicazioni del
Mimete, Gilberto è uno sperimentatore un po’ matto quando cerca di
duplicare sua moglie, fino all’autoironia di Versamina (“non gli mancava neppure quel filo di follia che nel
nostro lavoro non guasta”). Insomma la follia è vista coma scarto dalla norma
ma anche come irruzione dell’errore nel codice genetico umano.
Come per Calvino, anche
per Levi c’è una sorta di erranza, un mutuo trascinamento tra le due culture.
Su questa base possiamo individuare in Levi una epistemologia implicitamente
antidogmatica.
La scienza, la tecnica,
la letteratura derivano tutte da un istinto quasi biologico alla conoscenza; le
accomuna l’idea di fare, di produrre, di trasformare, del ‘poiein’ appunto.
Esse non fanno altro che costruire l’ordine, dando un senso all’apparente
disordine del mondo e dell’universo. Cucire molecole e cucire parole può avere
la stessa finalità: collocare un elemento al posto giusto, determinare
simmetrie euristiche. Levi stesso ha detto: “Scrivo proprio perché sono un
chimico: il mio vecchio mestiere si è largamente trasfuso nel nuovo”.[25]
Addirittura, linguistica
e genetica sono apparentate da un linguaggio comune: si pensi all’uso di
termini come “codice, ridondanza, pregnanza, ambiguità ”.
La letteratura dunque è
la chimica delle parole come la chimica è la letteratura della vita.
Ma tutti i sistemi
organici complessi, quindi anche quello umano-sociale, hanno bisogno di una
lingua, di una organizzazione di segni riconoscibili. Da qui l’importanza del
nome che in Storie naturali si
individua nella variabilità etimologica, nelle invenzioni lessicali, nelle
allusioni semantiche ma che, per contrasto, in Se questo è un uomo si era rivelata nell’annullamento d’identità,
nella perdita del soggetto trasformato in numero, in “pezzo”.
Consapevole della
necessità del segno, Levi, anche in Storie
naturali, ha adempiuto al suo ruolo di ‘scriba’, d’esegeta che interpreta e
fissa la tradizione orale. Per lui, parafrasando il titolo di Jorge Semprùn,
“la escritura es la vida”. Ma, trasformando per noi la scrittura in un altro
sogno, come in questi racconti, ha poi lasciato il suo monito di testimonianza
legata al dolore:
Pensava
una cosa che non aveva pensata da molto tempo, poiché aveva sofferto assai: che
il dolore non si può togliere, non si deve, perché è il nostro guardiano. Spesso
è un guardiano sciocco, perché è inflessibile, è fedele alla sua consegna con
ostinazione maniaca, e non si stanca mai, mentre tutte le altre sensazioni si
stancano, si logorano, specialmente quelle piacevoli. Ma non si può
sopprimerlo, farlo tacere, perché è tutt’uno con la vita, ne è il custode.[26]
___________________________
Como citar: LUZI, Alfredo. "L’altro mondo di Levi. Cienza e fantascienza nelle Storie naturali". In "Literatura Italiana Traduzida", v. 1, n. 12, dez. 2020.
Disponível em:https://repositorio.ufsc.br/handle/123456789/218286
[1] POLI,
Gabriella - CALCAGNO, Giorgio. Echi di
una voce perduta. Incontri, interviste e conversazioni con Primo Levi.
Milano: Mursia, 1992, p. 37.
[2] Idem
[3] BELPOLITI,
Marco (org.). Primo Levi. Milano: Riga
13 - Marcos y Marcos, 1997, p.75.
[4] MILA, Massimo. “Il sapiente con la chiave a stella”, in “La Stampa ”, 14/4/87, poi in Scritti civili. Torino: Einaudi, 1995
[5] LEVI, Primo. Storie naturali,
in Opere ,vol.III. Torino: Einaudi,
1990, p.166
[6] Idem, p. 109
[7] Cf. BOOTH, Wayne C. A rethoric of Irony. Chicago/London: University of Chicago Press, 1974.
[8] LEVI,
Primo. Conversazioni e interviste
(1963-1987). Torino: Einaudi,
1997, p. 106-107.
[9] Idem, p. 150.
[10] LEVI, Primo. Ad ora incerta, in Opere, vol.II. Torino: Einaudi, 1988, p.552
[11] LEVI, Primo. Storie naturali, op.cit., p. 3
[12]LEVI, Primo. Conversazione con Alberto Gozzi. Riga
13, op.cit., p.95.
[13] LEVI, Primo. Storie naturali, op.cit., p.7.
[14] Idem, p. 41.
[15] Ibidem, pp. 121-126, passim.
[16] BELPOLITI, Marco. Primo Levi,
Riga 13, op.cit., p. 104.
[17] LEVI, Primo. Storie naturali,
op.cit., p. 92.
[18] Idem, p.11.
[19] Ibidem, p. 183.
[20] Ibidem, p. 10.
[21] LEVI, Primo. L’altrui mestiere.
Torino: Einaudi, 1985, p. 229.
[22] LEVI, Primo. I sommersi e i
salvati, in Opere, vol.I. Torino:
Einaudi, 1987, p. 664.
[23] BELPOLITI, Marco. Primo Levi.
Riga 13, op.cit., p. 189.
[24] POLI, Gabriella - CALCAGNO, Giorgio. Echi di una voce perduta. Incontri, interviste e conversazioni con
Primo Levi., op.cit.
[25] LEVI, Primo. L’altrui mestiere.Torino:
Einaudi, 1985, p. 14.
[26] LEVI, Primo. Storie naturali,
op.cit., p. 87-88.
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