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Literatura Italiana Traduzida ISSN 2675-4363
Eugenio De Signoribus
Lucia Wataghin
poesia contemporânea
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Foto: pxhere.com |
Livida l´aria di
Genova, bagnato l´asfalto. Un po´ di pioggia è caduta ma l´acqua, negli
interstizi delle lastre dei marciapiedi, sembra sgorga da sotto. I rii
invisibili segnano le strade aperte verso il mare.
Eugenio De
Signoribus (Cupra Marittima, 1947) è molto legato a Genova, città di sue grandi
amicizie, che lo accoglie con ammirazione e affetto, ed è legato anche al
Brasile, perché qui è stato più volte tradotto, e un suo recente poemetto,
inedito in Italia, qui è stato da poco pubblicato, in versione bilingue,
italiano e portoghese[1].
Il poemetto, di 243 versi, dal titolo L´uscita
(Sogno, incubo, doppio sogno) nasce, o meglio, è completato nel luglio 2020
su invito di Patricia Peterle, per andare a far parte del libro Krisis – Tempo di Covid 19, riflessioni
e interventi sul tema Covid, a cui hanno partecipato molti scrittori e
intellettuali italiani (Valerio Magrelli, Fabio Franzin, Giulio Ferroni, Vivian
Lamarque, Carlo Ginzburg, Franco Rella, Massimo Cacciari e molti altri). L´ispirazione
a completare il poemetto da poco iniziato, ancora in stato frammentario, è venuta
dall´invito a firmare un appello del fotografo Sebastião Salgado per la
salvaguardia dell´Amazzonia (e pertanto, aggiunge il poeta, del pianeta).
L´impegno civile sempre
crescente di De Signoribus, che si presenta come “testimone dell´umano contro
il disumano”, sta al centro degli ultimi libri e in particolare di questo che
si può definire un poemetto civile, interessato alla storia e al destino
dell´umanità. Il poemetto narra un sogno, fin troppo “reale”, di apocalissi: la
fine del mondo, la fine della storia. Il soggetto della narrazione è una
seconda persona plurale, un “noi”, che nella foresta devastata dalle fiamme si
rivela nell´ultimo verso: “noi, i dodici”. È un riferimento a I Dodici
di Aleksandr Blok, come dice l´autore in nota, poemetto anche questo visionario
e messianico, scritto nel 1918, una sorta di celebrazione della rivoluzione
russa, fra apocalissi e utopia; L´uscita di
De Signoribus è un´utopia di salvezza in mezzo alla distruzione della natura. Il
poemetto, dalla lingua spoglia, in versi liberi, con qualche endecasillabo,
qualche rima, è una litania monotona scevra, o quasi, di artifici. Parla la
lingua dei dodici apostoli, o “persone comuni che sognano una salvezza”:
“gridammo in strani richiami”, “parlavamo senza la parola”, dicono i dodici, “in
cerca di volti e alfabeti / noi, corpi senza pesi e amuleti/ ancora una volta
in utopia // noi, i dodici”. È l´utopia dopo il disastro, in cerca dell´umanità
e della lingua.
Un altro testo recentemente tradotto e di
prossima pubblicazione in Brasile, Nenhum
corpo é elementar, è composto da un piccolo libro uscito prima in Francia,
nel 2017, e poi in Italia, nel 2020, con il titolo Nessun luogo è elementare, oltre a prose poetiche inedite, scritte
nel 2020, anche queste sui tempi del covid, e una piccola sezione genovese, Soglie genovesi, tratta dal volume Veglie genovesi, a cura di Stefano
Verdino (Genova: Il Canneto Editore,
2013).
Il titolo del
libro “brasiliano” è una variazione di quello del 2017; Nessun luogo è elementare diventa Nessun corpo è elementare; mette
l´accento sui corpi, e non più sui luoghi,
perché sono i corpi gli infelici protagonisti, vittime o aguzzini, di queste prose dedicate all´“esposizione
dei corpi” - dei morti nel Mediterraneo, dei condannati a morte, dei lapidati, dei
massacrati, della fame, delle guerre. La fisionomia del libro è particolare, nuova
per De Signoribus, perché sono quasi tutte prose poetiche, pochi i versi, che
costituiscono elenchi, specie di abecedari dei delitti dei “molti civili
persecutori” dell´umanità inerme, denuncia del male e delle responsabilità di
ciascuno, poesia dove “mondo inospitale” rima con “criminale”, dove “la piega”
della ferita del mondo è “dolosa”.
La sezione
genovese, su cui mi concentro, prelude, nei suoi aspetti più politici e
allarmati, ai testi più recenti di De Signoribus, ma è più aperta al mondo
privato e si aggiunge con vigore al repertorio di versi e immagini genovesi di
tanti altri scrittori e poeti, arricchisce l´immaginario di una Genova
verticale, labirintica; aggiunge: ardita, plateale; con note più intime, dichiara
commozione di fronte allo splendore della città. Genova è però anche luttuosamente
connotata, come ricorda in tutto il libro, da ogni genere di mali: dalle
devastanti alluvioni al tragico G8 del 2001 (con i frammenti Genova all´opera per l´evento e Oh comunardi della terza ora) al crollo
nel centro storico di un edificio “marcio di travi e tracce d´ogni dolo” che
uccide uno sfollato magrebino, con il corollario della cronaca cittadina con
cui De Signoribus riprende il suo tema centrale e ricorrente del rapporto tra
la lingua e il male. È “un´opaca lingua di vetrina” la lingua dei giornali che
annunciano con “gli opposti detti le varie verità” la morte dello sfollato
extracomunitario.
Nella Genova delle
Soglie genovesi si impongono immagini usualmente connesse alla
città: il labirinto dei vicoli, tipici di molti centri storici mediterranei, e
la verticalità, tradizionalmente associata a Genova, per la sua particolare
configurazione geografica, che ha imposto la sua crescita in altezza (Caproni è
forse il poeta che ha più insistito su questo aspetto, che la rende “lirica, se
non addirittura onirica”[2]).
De Signoribus aggiunge l´elemento della stratificazione, accentuando la
complessità del labirinto, con l´effetto di aumentarne la dimensione un po´
minacciosa. Nella prosa poetica La Torre
dei Serra, narra una visita alla torre, appunto, che è la sede della
Facoltà di Lingue genovese, un antico edificio distribuito su strati
eccentrici; dal pianterreno il narratore sale a un piano base, dove vede
studenti curvi sui libri, poi altri cinque piani in ascensore, per arrivare in
cima alla torre, da dove gli appare “la toccante corona di Genova”. La
caratteristica della stratificazione si estende alla città, una città
stratificata di cui si intuisce dall´alto il perimetro, “il cordone invisibile che tiene lo stratificato perimetro dell’ardita
città”. Il movimento accentua il senso della verticalità, è una bellissima
rappresentazione di Genova, in contrasto con la dimensione viscerale, con le “viscere péste e bianche teste quasi nello
stesso corpo” che vede dall´alto della torre.
Ed è un labirinto verticale e stratificato anche l´albergo in cui si perde il poeta, nella prosa seguente, dal titolo Il sogno, un luogo stratificato come moltissimi edifici, ma disorientante, perché mancano connessioni fra i vari piani. Vi si entra solo in ascensore (Verdino informa che si tratta dell´hotel Vittoria Orlandini, a cui si accede da un ascensore parallelo all´ascensore pubblico di Montegalletto) e il narratore del sogno, ignaro, decide di scendere le scale per non aspettare e si ritrova senza uscita. Deve riprendere l´ascensore, ma una volta entrato non trova tasti di chiamata; riesce finalmente a uscire, ma si trova a camminare sotto la città, con i piedi nell´acqua e nel fango.
Con acqua e fango
si era già aperto Soglie genovesi, con
la prosa poetica, o poesia-quasi-prosa, I
rii, che ci offre ancora un´immagine di Genova come labirinto. Ma questo è
un labirinto sotterraneo, doppiamente complesso; si pensa allo strato, o agli
strati sotterranei della città, i ruscelli, corsi d´acqua che scorrono sotto la
città. Si parla dell´alluvione del 2011 e si parla di lingua e di voci: la voce
della natura che avverte, prima di scatenarsi (l´aria è livida, l´acqua sembra
che sgorghi da sotto, gli animali cittadini, i gatti, i piccioni sentono e
attraversano di corsa il pericolo) e poi le voci delle vittime umane, che non
ascoltano l´avvertimento, il pianto, i gridi. Il tema civile, quindi, della
distruzione della natura e dell´uomo, ma anche il tema della lingua: “questa
apocalissi parla solo la lingua incustodita della natura”, lingua non vigilata
e allo stesso tempo non custodita, difesa, protetta, come dovrebbe essere. L´apocalissi
riporta al tema della lingua, come nel poemetto L´uscita, dove l´utopia di salvezza passa per la lingua, o meglio
si fonda su di essa. La lingua di
questa poesia e prosa, ricca, controllata, precisa, cerca antidoti alla
menzogna; questo è un punto nodale, forse il punto di partenza, il rapporto
lingua/menzogna, accentuato nella contemporaneità, su cui De Signoribus è ritornato
spesso in versi di denuncia (“quando la lingua s´infalsa fino a truccare
pubblicamente i tabulati”; “per una lingua che paziente cuce / cento forcute
tagliano alla luce / delle telecamere alla moda”), ma che riguarda anche il
momento quotidiano di ciascuno, con le difficoltà della comunicazione, del
dire, delle sfasature del dire, perché “il male stecca tutti gli accenti /
sballa le riconnesse rime / sgobba il vocabolo reale” )[3].
Il tema delle difficoltà del dire e la sobrietà della lingua si ripresenta nella
prosa poetica Caffè degli specchi, testo
che contiene una dimensione affettiva, perché ricorda un luogo d´incontro con
gli amici genovesi, e si propone in contrasto, forse involontario, con il testo
che ha reso storico questo stesso caffè, la famosa strofa della poesia Genova di Campana, esempio di
magniloquenza. Per Campana, il caffè degli specchi è una “grotta di
porcellana”, la piccola salita in cui è situato è “un´erta tumultuante”, da cui
si vede Genova “fantastica di trofei/ mitici tra torri nude al sereno”. Una Genova
mitica, una poesia visionaria a cui si oppone la Genova di De Signoribus,
malinconica e discreta.
______________________
Como citar: WATAGHIN, Lucia. "Tra Genova e il Brasile: testi editi e inediti di Eugenio De Signoribus", In "Literatura Italiana Traduzida", v. 2, n. 1, jan. 2021. Disponível em:https://repositorio.ufsc.br/handle/123456789/
[1] Krisis. Tempos de Covid-19. PETERLE, Patricia, SANTURBANO,
Andrea, DEGANI, Francisco, SALVADOR, Rossana (orgs.). Florianópolis: Rafael
Copetti Ed., 2020, pp. 40-45.
[2] CAPRONI, Giorgio. Genova di tutta la vita. A cura di
DEVOTO, Giorgio e GUERRINI, Adriano. Genova: Ed. San Marco dei Giustiniani,
1997, p. 10.
[3] DE SIGNORIBUS, Eugenio. Ronda dei conversi, in Poesie (1976-2007). Milano: Garzanti,
2008, pp. 491, 576, 526.
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