La poesia e la sapienza del mondo, di Marco Ceriani

Tra Genova e il Brasile: testi editi e inediti di Eugenio De Signoribus, di Lucia Wataghin

 

 

Foto: pxhere.com

 

Livida l´aria di Genova, bagnato l´asfalto. Un po´ di pioggia è caduta ma l´acqua, negli interstizi delle lastre dei marciapiedi, sembra sgorga da sotto. I rii invisibili segnano le strade aperte verso il mare.


 

Eugenio De Signoribus (Cupra Marittima, 1947) è molto legato a Genova, città di sue grandi amicizie, che lo accoglie con ammirazione e affetto, ed è legato anche al Brasile, perché qui è stato più volte tradotto, e un suo recente poemetto, inedito in Italia, qui è stato da poco pubblicato, in versione bilingue, italiano e portoghese[1]. Il poemetto, di 243 versi, dal titolo L´uscita (Sogno, incubo, doppio sogno) nasce, o meglio, è completato nel luglio 2020 su invito di Patricia Peterle, per andare a far parte del libro Krisis – Tempo di Covid 19, riflessioni e interventi sul tema Covid, a cui hanno partecipato molti scrittori e intellettuali italiani (Valerio Magrelli, Fabio Franzin, Giulio Ferroni, Vivian Lamarque, Carlo Ginzburg, Franco Rella, Massimo Cacciari e molti altri). L´ispirazione a completare il poemetto da poco iniziato, ancora in stato frammentario, è venuta dall´invito a firmare un appello del fotografo Sebastião Salgado per la salvaguardia dell´Amazzonia (e pertanto, aggiunge il poeta, del pianeta).
L´impegno civile sempre crescente di De Signoribus, che si presenta come “testimone dell´umano contro il disumano”, sta al centro degli ultimi libri e in particolare di questo che si può definire un poemetto civile, interessato alla storia e al destino dell´umanità. Il poemetto narra un sogno, fin troppo “reale”, di apocalissi: la fine del mondo, la fine della storia. Il soggetto della narrazione è una seconda persona plurale, un “noi”, che nella foresta devastata dalle fiamme si rivela nell´ultimo verso: “noi, i dodici”. È un riferimento a I Dodici di Aleksandr Blok, come dice l´autore in nota, poemetto anche questo visionario e messianico, scritto nel 1918, una sorta di celebrazione della rivoluzione russa, fra apocalissi e utopia; L´uscita di De Signoribus è un´utopia di salvezza in mezzo alla distruzione della natura. Il poemetto, dalla lingua spoglia, in versi liberi, con qualche endecasillabo, qualche rima, è una litania monotona scevra, o quasi, di artifici. Parla la lingua dei dodici apostoli, o “persone comuni che sognano una salvezza”: “gridammo in strani richiami”, “parlavamo senza la parola”, dicono i dodici, “in cerca di volti e alfabeti / noi, corpi senza pesi e amuleti/ ancora una volta in utopia // noi, i dodici”. È l´utopia dopo il disastro, in cerca dell´umanità e della lingua.
Un altro testo recentemente tradotto e di prossima pubblicazione in Brasile, Nenhum corpo é elementar, è composto da un piccolo libro uscito prima in Francia, nel 2017, e poi in Italia, nel 2020, con il titolo Nessun luogo è elementare, oltre a prose poetiche inedite, scritte nel 2020, anche queste sui tempi del covid, e una piccola sezione genovese, Soglie genovesi, tratta dal volume Veglie genovesi, a cura di Stefano Verdino (Genova: Il Canneto Editore, 2013).


Il titolo del libro “brasiliano” è una variazione di quello del 2017; Nessun luogo è elementare diventa Nessun corpo è elementare; mette l´accento sui corpi, e non più sui luoghi, perché sono i corpi gli infelici protagonisti, vittime o aguzzini, di queste prose dedicate all´“esposizione dei corpi” - dei morti nel Mediterraneo, dei condannati a morte, dei lapidati, dei massacrati, della fame, delle guerre. La fisionomia del libro è particolare, nuova per De Signoribus, perché sono quasi tutte prose poetiche, pochi i versi, che costituiscono elenchi, specie di abecedari dei delitti dei “molti civili persecutori” dell´umanità inerme, denuncia del male e delle responsabilità di ciascuno, poesia dove “mondo inospitale” rima con “criminale”, dove “la piega” della ferita del mondo è “dolosa”.
La sezione genovese, su cui mi concentro, prelude, nei suoi aspetti più politici e allarmati, ai testi più recenti di De Signoribus, ma è più aperta al mondo privato e si aggiunge con vigore al repertorio di versi e immagini genovesi di tanti altri scrittori e poeti, arricchisce l´immaginario di una Genova verticale, labirintica; aggiunge: ardita, plateale; con note più intime, dichiara commozione di fronte allo splendore della città. Genova è però anche luttuosamente connotata, come ricorda in tutto il libro, da ogni genere di mali: dalle devastanti alluvioni al tragico G8 del 2001 (con i frammenti Genova all´opera per l´evento e Oh comunardi della terza ora) al crollo nel centro storico di un edificio “marcio di travi e tracce d´ogni dolo” che uccide uno sfollato magrebino, con il corollario della cronaca cittadina con cui De Signoribus riprende il suo tema centrale e ricorrente del rapporto tra la lingua e il male. È “un´opaca lingua di vetrina” la lingua dei giornali che annunciano con “gli opposti detti le varie verità” la morte dello sfollato extracomunitario.
Nella Genova delle Soglie genovesi si impongono immagini usualmente connesse alla città: il labirinto dei vicoli, tipici di molti centri storici mediterranei, e la verticalità, tradizionalmente associata a Genova, per la sua particolare configurazione geografica, che ha imposto la sua crescita in altezza (Caproni è forse il poeta che ha più insistito su questo aspetto, che la rende “lirica, se non addirittura onirica”[2]). De Signoribus aggiunge l´elemento della stratificazione, accentuando la complessità del labirinto, con l´effetto di aumentarne la dimensione un po´ minacciosa. Nella prosa poetica La Torre dei Serra, narra una visita alla torre, appunto, che è la sede della Facoltà di Lingue genovese, un antico edificio distribuito su strati eccentrici; dal pianterreno il narratore sale a un piano base, dove vede studenti curvi sui libri, poi altri cinque piani in ascensore, per arrivare in cima alla torre, da dove gli appare “la toccante corona di Genova”. La caratteristica della stratificazione si estende alla città, una città stratificata di cui si intuisce dall´alto il perimetro, “il cordone invisibile che tiene lo stratificato perimetro dell’ardita città”. Il movimento accentua il senso della verticalità, è una bellissima rappresentazione di Genova, in contrasto con la dimensione viscerale, con le “viscere péste e bianche teste quasi nello stesso corpo” che vede dall´alto della torre.


Ed è un labirinto verticale e stratificato anche l´albergo in cui si perde il poeta, nella prosa seguente, dal titolo Il sogno, un luogo stratificato come moltissimi edifici, ma disorientante, perché mancano connessioni fra i vari piani. Vi si entra solo in ascensore (Verdino informa che si tratta dell´hotel Vittoria Orlandini, a cui si accede da un ascensore parallelo all´ascensore pubblico di Montegalletto) e il narratore del sogno, ignaro, decide di scendere le scale per non aspettare e si ritrova senza uscita. Deve riprendere l´ascensore, ma una volta entrato non trova tasti di chiamata; riesce finalmente a uscire, ma si trova a camminare sotto la città, con i piedi nell´acqua e nel fango.
Con acqua e fango si era già aperto Soglie genovesi, con la prosa poetica, o poesia-quasi-prosa, I rii, che ci offre ancora un´immagine di Genova come labirinto. Ma questo è un labirinto sotterraneo, doppiamente complesso; si pensa allo strato, o agli strati sotterranei della città, i ruscelli, corsi d´acqua che scorrono sotto la città. Si parla dell´alluvione del 2011 e si parla di lingua e di voci: la voce della natura che avverte, prima di scatenarsi (l´aria è livida, l´acqua sembra che sgorghi da sotto, gli animali cittadini, i gatti, i piccioni sentono e attraversano di corsa il pericolo) e poi le voci delle vittime umane, che non ascoltano l´avvertimento, il pianto, i gridi. Il tema civile, quindi, della distruzione della natura e dell´uomo, ma anche il tema della lingua: “questa apocalissi parla solo la lingua incustodita della natura”, lingua non vigilata e allo stesso tempo non custodita, difesa, protetta, come dovrebbe essere. L´apocalissi riporta al tema della lingua, come nel poemetto L´uscita, dove l´utopia di salvezza passa per la lingua, o meglio si fonda su di essa. La lingua di questa poesia e prosa, ricca, controllata, precisa, cerca antidoti alla menzogna; questo è un punto nodale, forse il punto di partenza, il rapporto lingua/menzogna, accentuato nella contemporaneità, su cui De Signoribus è ritornato spesso in versi di denuncia (“quando la lingua s´infalsa fino a truccare pubblicamente i tabulati”; “per una lingua che paziente cuce / cento forcute tagliano alla luce / delle telecamere alla moda”), ma che riguarda anche il momento quotidiano di ciascuno, con le difficoltà della comunicazione, del dire, delle sfasature del dire, perché “il male stecca tutti gli accenti / sballa le riconnesse rime / sgobba il vocabolo reale” )[3]. Il tema delle difficoltà del dire e la sobrietà della lingua si ripresenta nella prosa poetica Caffè degli specchi, testo che contiene una dimensione affettiva, perché ricorda un luogo d´incontro con gli amici genovesi, e si propone in contrasto, forse involontario, con il testo che ha reso storico questo stesso caffè, la famosa strofa della poesia Genova di Campana, esempio di magniloquenza. Per Campana, il caffè degli specchi è una “grotta di porcellana”, la piccola salita in cui è situato è “un´erta tumultuante”, da cui si vede Genova “fantastica di trofei/ mitici tra torri nude al sereno”. Una Genova mitica, una poesia visionaria a cui si oppone la Genova di De Signoribus, malinconica e discreta.

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Como citar: WATAGHIN, Lucia. "Tra Genova e il Brasile: testi editi e inediti di Eugenio De Signoribus", In "Literatura Italiana Traduzida", v. 2, n. 1, jan. 2021.  Disponível em:https://repositorio.ufsc.br/handle/123456789/

 



[1] Krisis. Tempos de Covid-19. PETERLE, Patricia, SANTURBANO, Andrea, DEGANI, Francisco, SALVADOR, Rossana (orgs.). Florianópolis: Rafael Copetti Ed., 2020, pp. 40-45.
[2] CAPRONI, Giorgio. Genova di tutta la vita. A cura di DEVOTO, Giorgio e GUERRINI, Adriano. Genova: Ed. San Marco dei Giustiniani, 1997, p. 10.
[3] DE SIGNORIBUS, Eugenio. Ronda dei conversi, in Poesie (1976-2007). Milano: Garzanti, 2008, pp. 491, 576, 526.