La poesia e la sapienza del mondo, di Marco Ceriani

Dalla novella verghiana al melodramma Verista, di Sandra Dugo

 

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Cavalleria Rusticana interpreta lo stile verghiano della rappresentazione della realtà, tanto che Giovanni Verga oltre a essere uno scrittore era anche un eccellente fotografo[1]. La novella è inserita nella prima raccolta del verismo italiano Vita dei campi, racconta la realtà quotidiana del popolo siciliano; scritta nel 1880 diventa opera teatrale nel 1884[2]. Per tutta la durata il breve racconto ha una caratterizzazione passionale ma non drammatica fino all’imprevisto epilogo finale della morte di Turiddu. I personaggi vivono sentimenti contrapposti, assistiamo all’intreccio di emozioni: amore e odio, affetto e rabbia, fino a giungere all’episodio finale dove la forza tragica si condensa all’improvviso, quando il dramma della gelosia reprime gli altri sentimenti col suo forte potere distruttivo. Alla trama complessa, costituita da episodi improvvisi, fa da sfondo la descrizione dell’ambiente naturale e paesaggistico, in cui la gente del popolo è narrata con semplicità.
Giovanni Verga e Luigi Capuana, Catania.
Foto: Federico De Roberto

È la tecnica narrativa verista che svela la complessità della natura umana, immersa nel reale contesto storico e sociale. Tuttavia quella che apparentemente sembra una sicilianità tradizionale è anche l’italianità sentimentale e romantica passionale, ispiratrice di svariati lavori teatrali, opere liriche e soprattutto interessanti adattamenti cinematografici. L’obiettivo di questo studio e analizzare il processo di trasformazione dalla novella verghiana nel melodramma verista di Pietro Mascagni, fino a giungere alla trasposizione dell’opera lirica nel film di Franco Zeffirelli[3]. Si tratta di traducibilità di linguaggi diversi, in cui possiamo individuare rapporti di intertestualità a vari livelli fra la novella, l’opera lirica e il film.
Tra la metà dell’Ottocento e il primo Novecento la riscrittura dei testi narrativi nei libretti per la rappresentazione delle opere liriche a teatro caratterizza la nostra letteratura; si pensi che il melodramma è un genere teatrale italiano. Il libretto per l’opera musicata da Mascagni Cavalleria Rusticana fu scritto da Giovanni Targioni-Tozzetti e da Guido Menasci. Verga non amava l’opera per l’uso che venne fatto da altri trasformandola in opera lirica esaltando l’aspetto pittoresco di una Sicilia irreale e esaltando in modo esagerato la gelosia e mi riferisco ovviamente al già appena citato Giovanni Targioni-Tozzetti e a Guido Menasci. Avrebbe voluto un’opera musicata sobria per piccola orchestra, che raccontasse con semplicità l’aspetto campestre siciliano e invece nell’opera lirica venne rappresentato un popolo diverso[4]. Si pensi che lo scrittore narrava la quotidianità della gente siciliana sia nelle novelle di Vita dei campi che in Novelle Rusticane, i cui temi principali sono il lavoro di uomini che amano la vita semplice, immersi nella natura aspra e assolata dell’isola, contraddistinta dai colori contrastanti dell’ambiente agricolo e dalla fertilità della terra.
L’opera lirica omonima fu composta da Mascagni (1890) ed è il melodramma verista nato dalla trasposizione del testo teatrale verghiano. Tuttavia il nostro studio deve avere una visione prospettica omogenea, per non rischiare di separare in categorie distinte i generi narrativo, teatrale e operistico, facendo una classificazione per categorie, rischiando di non comprendere a fondo. In realtà si è trattato della graduale trasformazione del teatro romantico e del romanzo ottocentesco nel genere italiano del melodramma[5]. Si può ipotizzare un retaggio filosofico del verismo italiano quasi in rapporto dialettico con il positivismo, penso naturalmente ai personaggi e al racconto della realtà locale. L’opera di Mascagni ha queste caratteristiche e la sua fortuna critica sembra essere nata per caso, quando la casa musicale Sonzogno la scelse come opera vincitrice del concorso di composizione per giovani artisti[6].
Riflettendo sulla trasposizione nell’opera lirica e poi nel film, si noti che il narratore onnisciente esterno scompare, alterando la novella di Verga. Un cambiamento importante è l’inserimento della cantata La Siciliana nell’opera di Mascagni che interpreta l’aspetto popolare e sembra avvicinarsi maggiormente alla novella verghiana, ma in realtà non lo è affatto; ed è bene sottolineare il dissenso totale di Verga sulle trasformazioni della sua opera. L’aria cantata è intitolata O Lola ch’hai di latti la cammisa, vero è che Verga ha solo accennato a vaghe canzoni cantate dal personaggio Turiddu sotto la finestra di Lola, per la mancanza di attenzione della donna per lui. In realtà lo scrittore non citò nessuna canzone nella novella e nemmeno nel testo teatrale. Cito la traduzione in italiano della Siciliana
 
Pietro Mascagni.
Foto: John Garo
Lola, il tuo vestito è bianco come il latte,              
sei bianca e rossa come una ciliegia,
quando ti affacci le tue labbra sorridono,
Beato è chi ti dà il primo bacio!
nella tua porta il sangue è sparso,
e non mi importa se sarò ucciso lì.
E se io muoio e vado in paradiso,
se non trovo te, nemmeno entrerò[7].   
 
La Siciliana ha un carattere romantico per la scelta musicale di Mascagni e rappresenta un elemento interessante che evidenzia il carattere popolare per la scelta del dialetto. Il testo teatrale ha subìto molte variazioni nell’opera lirica, alterando lo stile verghiano sobrio. È fondamentale riflettere sulla definizione del termine “verismo” e sul reale significato. Cosa intendiamo per “Verismo”? È la rappresentazione del popolo e della sua vita quotidiana resa nella narrazione con sobrietà. Infatti nella narrativa verista italiana non leggiamo espressioni eccessive o esagerate, e la caratteristica principale è la semplicità del linguaggio.
Riflettiamo ora sulla relazione tra gli aspetti linguistici della traducibilità del linguaggio teatrale in quello cinematografico, come metamorfosi di un sistema di codice nell’altro; e nello specifico analizziamo l’intertestualità tra la novella, il testo teatrale, l’opera lirica e l’opera-film di Zeffirelli. Come identificare i livelli estetici dell’interazione tra le opere e l’adattamento cinematografico? Qui si propone l’analisi di generi diversi, il narrativo, il teatrale e l’opera lirica che è diventata film, dove la scenografia è l’ambiente naturale e non il palcoscenico teatrale. Tuttavia esistono elementi in correlazione tra le opere anche se i sistemi di comunicazione sono differenti: il primo con i lettori e l’altro con il pubblico del cinema. Il set cinematografico ha determinato l’inserimento di scenari diversi rispetto all’opera originale. La transcodificazione dei testi verghiani nel film avviene attraverso una serie di relazioni tra le opere, ed è un processo di trasformazione da un sistema di segni in un altro. Pensando alla nuova creazione di Zeffirelli dobbiamo considerare che poteva ispirarsi all’opera originale oppure basarsi sulla creatività del regista, dando maggior spazio alla fantasia, sapendo che il linguaggio filmico è un sistema di segni verbali e visivi diverso dal narrativo. Sicché l’opera filmica suggerisce una dimensione non consentita a quella narrativa-teatrale, tanto che assistiamo al ribaltamento prospettico delle scene e all’inserimento di varianti stilistiche, cioè alla re-invenzione con scenari nuovi inesistenti nei due testi di Verga (la novella e la commedia teatrale).
Per comprendere a fondo il lavoro di Zeffirelli non si può prescindere dallo sviluppo che c’è stato, tanto che è chiaro che l’opera-film ha ereditato in parte la tradizione teatrale italiana. Pertanto il rapporto tra la commedia verghiana e il film apre nuovi percorsi di studio dal punto di vista semantico e filologico, ma anche per l’analisi della metamorfosi e della ri-creazione delle scene del film, diventando uno studio della trasposizione di generi anche per l’aspetto sociologico. A questo punto è facile riflettere sull’esito della trasformazione del teatro italiano nel melodramma verista e infine nell’opera-film. Una felice contaminazione fra drammaturgia, lirica e il remake cinematografico.
Zeffirelli ha rappresentato l’ambiente rurale, girando il film in primavera nelle campagna con prati verdi, tronchi di ulivo che sembrano scolpiti da un artista, maestosi alberi di fichi d’India caratteristici nell’isola, mentre i quadri sociali sono rappresentati da gruppi di donne e di uomini al lavoro, impegnati nel quotidiano lavoro contadino; in una scena vediamo le donne che lavano i panni alla fontana, come si faceva anche a Roma nel fiume Tevere e nelle campagne venete, perché il popolo dei semplici esisteva sia al nord che al sud d’Italia[8]. Le donne trasportano i recipienti pieni di olio e di vino, le quartare simili alle giare di Pirandello, come nei piccoli centri del Lazio[9]. Nel frattempo cantano in coro: “Gli aranci olezzano sui verdi margini, cantan le allodole tra i mirti in fior”.
La Siciliana è un canto che evidenzia l’aspetto popolare per la scelta del dialetto[10]; fu introdotto da Giovanni Targioni-Tozzetti nel libretto per l’opera lirica e ha un carattere romantico per la scelta della base musicale di Mascagni. E qui Zeffirelli ha aggiunto alcuni quadri mitici: Turiddu va via a cavallo all’orizzonte, mentre Santuzza, spinta dalla gelosia, lo segue nascondendosi per non farsi vedere e mentre Alfio lo sta osservando da lontano a bordo del carretto trainato dal cavallo. Sullo sfondo, all’orizzonte, l’ambiente rurale della Sicilia, con i muretti bianchi che separano i lotti di terra gli uni dagli altri, nella penombra delle prime luci dell’alba.
Il film Cavalleria Rusticana uscì nel 1982, fu girato a Vizzini[11] in provincia di Catania e nella città di Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa. Dall’opera lirica il dramma dei personaggi protagonisti si trasforma nel film con un’interpretazione cantata e recitata, caratterizzata dall’intensità espressiva del tenore Plácido Domingo, (Turiddu) e dalla mezzosoprano russa Elena Obraztsova (Santuzza), e da Axelle Gall (Lola).
A teatro si rappresentano passioni e sentimenti, fingendo che siano veri mediante la capacità di assumere una funzione rilevante nella recitazione con la mimica del corpo; nel cinema invece si cercano nuovi linguaggi comunicativi, creando scenari che mostrino l’ambiente rurale e paesaggistico. Si può parlare di linguaggio semiotico attraverso i segni? E di quali segni dobbiamo parlare?
L’adattamento cinematografico dell’opera teatrale è la rappresentazione della realtà sociale in cui l’uomo vive pirandellianamente la tragicità di essere umano, cosa che esige lo studio dell’impostazione interdisciplinare tra critica letteraria e analisi antropologica e sociologica. I sentimenti dei personaggi si alternano rapidamente: l’amore, la passione, l’innamoramento, la gelosia, il dolore del tradimento, la rabbia. I sentimenti contrastanti si condensano nella scena finale del duello, teatralizzato da Zeffirelli nella visione panoramica dall’alto, che non sembra essere tragica, perché la scena del duello tra i due uomini è brevissima, e si intravede appena il momento in cui Turiddu viene ferito a morte. L’epilogo ha piuttosto un carattere spettacolare e si distingue dalla novella verghiana e dal testo teatrale in cui la descrizione del duello è inesistente.
Il processo evolutivo si articola in fasi diverse: la novella, il testo teatrale, l’opera lirica composta da Mascagni e l’adattamento cinematografico dell’opera-film di Zeffirelli[12]. Ebbene, si può pensare alla traducibilità di linguaggi diversi, cioè alla transcodificazione dal testo narrativo al film. Anche se il testo verghiano è stato riscritto nel libretto da Giovanni Targioni-Tozzetti e da Guido Menasci per Mascagni, l’evoluzione va individuata nella scelta del melodramma musicale verista che non rappresenta solo la quotidianità del popolo, ma ha anche un carattere romantico. L’esito finale è il riadattamento di Zeffirelli: il palcoscenico teatrale vivente è lo sfondo della città di Vizzini. L’elemento pittoresco è predominante tanto che osserviamo ovunque una varietà di particolari arborei, di oggetti posti nello spazio ambientale naturale in una visione d’insieme; ritengo che sia l’esito della trasposizione cinematografica per scelta voluta dal regista. Credo che questa sia la fase finale della trasformazione che ha dato origine al nuovo genere contemporaneo dell’opera-film; evoluzione che meriterebbe un’analisi più ampia, ma mi limiterò a segnalare brevemente alcuni elementi.
Il racconto dei sentimenti contrastanti caratterizza il rapporto conflittuale tra i personaggi, come accade nella realtà. Verga però voleva celebrare l’aspetto positivo dei sentimenti, evidenziando la natura di esseri umani; voleva celebrare il sentimento dell’amore, il dolore per il tradimento, la gelosia, la rabbia, l’onore offeso, e soprattutto la quotidianità del lavoro contadino. Nel passaggio dall’opera teatrale alla trasposizione cinematografica si nota l’enfatizzazione dell’aspetto emozionale, considerando che la realizzazione cinematografica punta soprattutto sull’aspetto visivo del racconto filmato. È la teatralità della trasposizione cinematografica[13].
Nell’opera teatrale invece Verga voleva la recitazione naturale non enfatizzata, lo conferma il brano della lettera al Capuana da Regoledo, sul lago di Como, datata il 18 agosto 1884, in cui scrive: “questa commediola va recitata male per essere resa bene, cioè senza enfasi né effetti teatrali. Io voglio la stessa semplicità e la stessa naturalezza della gente che parli e si muova come i contadini e non sappia di recitare”[14]. È lo stesso linguaggio quotidiano, senza enfasi, usato anche da Capuana, De Roberto e Pirandello. Nella lettera citata Verga sembra accennare all’idea di mettere in scena non attori ma persone vive in un ambiente realistico con uno stile vivace. Manifestò il suo rammarico per la trasformazione della sua opera per le modifiche apportate nell’adattare il testo alla composizione musicale e cambiando le scene per la nuova ambientazione della rappresentazione lirica. Verga non condivideva l’esaltazione di aspetti scenici che lui non aveva mai creato.
Zeffirelli ha scelto vari dettagli che mostrano un’ambientazione che vuole somigliare allo stile di Verga: la religiosità regionale con l’abito nero contrastante con il bianco lunare della scalinata della Chiesa, dove viene mostrato in primo piano l’interno dorato con grossi ceri bianchi e a poca distanza l’immagine della Madonna con il cuore trafitto. Seguono le scene di vita quotidiana popolare evidenziate dalla stalla nel piano terra della casa, come era consuetudine nello stile di vita rurale dell’epoca. Le scene in cui vediamo i grandi alberi di fichi d’India, di ulivi, e di mirti fanno da sfondo alla vicenda e assistiamo al passaggio di gruppi separati: il coro delle donne e il coro degli uomini. La campagna verde percorsa dalle donne indica la fertilità, infatti il coro dell’introduzione recita: “Gli aranci olezzano sui verdi margini, cantan le allodole tra i mirti in fior”. Passano gruppi di giovani contadini che rientrano sul tradizionale carretto siciliano. Mentre le donne portano le anfore contenenti vino e olio secondo l’uso dell’epoca. È evidente che Zeffirelli ha voluto raccontare una Sicilia agricola, rurale, fertile e ricca di energia vitale, che offre i frutti della terra attraverso l’immagine della fertilità e della vita, cercando di ricreare lo stile verista di Verga. Mascagni si inserisce nella tradizione dell’opera italiana fine secolo XIX con un certo gusto per i temi del verismo musicale italiano.
 
Riferimenti bibliografici
 
ALFIERI, Gabriella in “Scene popolari” verghiane tra “commedia villereccia” e “drammettino” suburbano: lettura sinottica di Cavalleria rusticana e In Portineria.
GIACHERY, Emerico, Verga e D’Annunzio. Ritorno a Itaca.  Roma: Edizioni Studium, 1991.
GIBELLINI, Pietro, Tre coltellate per compare Turiddu. Lettura antropologica di Cavalleria rusticana. Disponibile su: 
https://www.liberliber.it/mediateca/libri/g/gibellini/tre_coltellate_per_compare_turiddu/pdf/tre_co_p.pdf  Consultato il 05/01/2021.
VERGA, Giovanni, Carteggio Verga-Capuana. Gino Raya (org). Roma: Edizioni dell’Ateneo, 1984.
_______________, Teatro. Gianni Oliva (org.). Milano: Garzanti, 1987.
_______________, Novelle. Giulio Carnazzi (org.). 2 voll., Milano: Rizzoli, 1992.
ZAPPULLA MUSCARÀ, Sarah. “Cavalleria Rusticana di Giovanni Verga fra teatro, melodramma e cinema”. In Studi Polacco-Italiani di Toruń, v.10, Toruń: Università Nicolaus Copernicus di Toruń, 2014, pp. 133-150.

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Como citar: DUGO, Sandra. "Dalla novella verghiana al melodramma Verista". In "Revista de Literatura Italiana", v. 2, n. 3, mar. 2021.  Disponível em: https://repositorio.ufsc.br/handle/123456789/221245


[1] La Fondazione Giovanni Verga di Catania, conserva le opere e l’archivio fotografico di 1300 autori italiani e stranieri, oltre a Verga che era anche un eccellente fotografo. https://archive.org/stream/giovanniverga00russuoft#page/2/mode/2up. http://www.fondazioneverga.it/   Consultati il 05/01/2021. Era consuetudine tra gli scrittori dell’epoca fotografarsi a vicenda ma non sono stati resi noti i loro nomi, soprattutto perché non firmavano le foto scattate. Tuttavia posso ipotizzare qualcuno di loro: Federico de Roberto.
[2] Dalla novella Verga creò anche la versione teatrale. Nel 1888, nella lettera indirizzata a Capuana scrisse che il dramma teatrale gli sembrava un impoverimento “c’è  sempre  una  diminuzione  dell’opera  d’arte,  nel passare per un’altra interpretazione, fosse pure Domeneddio l’interprete”, riferendosi alla riscrittura della novella in testo teatrale. Ma il successo della prima rappresentazione con Eleonora Duse (1884) lo sorprese. VERGA, Giovanni, Carteggio Verga-Capuana, G. Raya (org). Roma: Edizioni dell’Ateneo, 1984, p. 291. Grazie al suggerimento di Gibellini: GIBELLINI, Pietro, Tre coltellate per compare Turiddu. Lettura antropologica di Cavalleria rusticana. Disponibile su:
[3] Il film è disponibile su: https://www.youtube.com/watch?v=arqnoxvtzZ4. Consultato il 05/01/2021.
[4] Lettera a Giuseppe Perrotta, VERGA, Giovanni, Carteggio Verga-Capuana, op. cit. Non essendo stato citato nell’opera lirica, Verga intentò una causa per plagio a Mascagni e alla Sonzogno per rivendicare i diritti di autore e vinse, ottenendo il risarcimento di metà dei guadagni ricavati dall’opera.
[5] Non dimentichiamo l’influenza che il naturalismo e il positivismo hanno avuto im piccola parte sul verismo italiano.
[6] Precisiamo che il melodramma italiano è iniziato con Giuseppe Verdi e che la sua trasformazione è proseguita con Giacomo Puccini e Ruggero Leoncavallo.
[7] Il testo originale in dialetto siciliano: “O Lola ch’ai di latti la cammisa / si bianca e russa comu la cirasa, / quannu t’affacci fai la vucca a risa. / Biato cui ti dà lu primu vasu! / Ntra la porta tua lu sangu è sparsu, / e nun me mporta si ce muoru acciso. / E s’iddu muoru e vaju mparadisu / si nun ce truovo a ttia, mancu ce trasu. / E s’iddu muoru e vaju mparadisu / si nun ce truovo a ttia, mancu ce trasu”. TARGIONI-TOZZETTI, Giovanni; MENASCI, Guido. Zanetto e Cavalleria rusticana, disponibile su: http://www.cantarelopera.com/opere/libretti/P.Mascagni_-_Cavalleria_Rusticana.pdf. Consultato il 05/01/2021.  
[8] L’espressione “semplici” non va confusa con gli “umili” protagonisti del romanzo manzoniano dei Promessi sposi, innanzitutto per la collocazione cronologica, infatti tra il Manzoni e Verga passa mezzo secolo di tempo. Inoltre gli umili vivono in un contesto storico differente da quello dei “semplici” di Verga. Renzo e Lucia si affidano alla fede in Dio per affrontare le loro difficoltà, diverso è il contesto storico e ambientale in Verga che descrive con occhio attento la realtà quotidiana dei contadini e dei pescatori di Aci Trezza nei Malavoglia, dove non c’è niente in comune con la provvidenza divina dei personaggi manzoniani. Quindi è molto importante non confondere i due scrittori soprattutto perché dal punto di vista linguistico gli obiettivi erano completamente diversi: Manzoni impiega venti anni per creare la lingua appropriata vicina ai due giovani promessi sposi che sono “umili”, mentre Verga fa parlare ai suoi personaggi un italiano arcaico che sembra quasi appartenere a una Sicilia senza tempo immersa nella sua affascinante isola.
[9] Le quartare sono recipienti di terracotta con due manici ai lati; erano usate dai contadini per il trasporto e la conservazione del vino e dell’olio. Le giare avevano la stessa forma e l’unica cosa che le differisce dalle quartare è la denominazione differente nelle altre regioni della Sicilia rurale.
[10] È interessante l’aria cantata dal pastorello in dialetto romanesco Io de' sospiri, inserita nel terzo Atto della Tosca di Giacomo Puccini.
[11] Vizzini è la città natale di Verga. La storia narrata non ha alcun riferimento a nessun fatto simile accaduto a Vizzini dopo il 1861. Ebbene, il nostro studio si basa sui documenti di archivio, sul carteggio epistolare, ignorando i giornali e internet che raccontano fantasie leggendarie. Anche Gabriele D’Annunzio narra un duello nel romanzo Il piacere, ambientato a Roma, ispirato dalla fantasia.
[12] Va detto che l’opera di Verga ha avuto dieci trasposizioni filmiche dal 1910 al 1996, compreso anche il lavoro di Zeffirelli.
[13] Anche nel melodramma ottocentesco era consuetudine raccontare le relazioni d’amore conflittuali tra l’uomo e la donna (Il ballo in maschera, Aida), elementi che sono presenti anche nella narrativa del primo Novecento.
[14] Preziosa segnalazione di Sarah Zappulla Muscarà che scrive: “Nonostante l’insperato felice consenso di Cavalleria rusticana, dovuto in parte al sostegno degli amici critici, alla notorietà dello scrittore e soprattutto all’interpretazione della Duse, Verga sottolinea questo al Capuana da Regoledo, sul lago di Como, il 18 agosto 1884”. MUSCARÀ ZAPPULLA, Sarah. “Cavalleria Rusticana di Giovanni Verga fra teatro, melodramma e cinema”. In Studi Polacco-Italiani di Toruń, v.10, Toruń: Università Nicolaus Copernicus di Toruń, 2014, pp. 133-150.
Disponibile su: https://apcz.umk.pl/czasopisma/index.php/TSP-W/article/view/TSP-W.2014.007/4730. Consultato il: 05/01/2021.