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Fotos: Andrea Cimarelli
Andrea
Cimarelli, romano, grande viaggiatore che ha fatto di questa sua passione una
professione, è il traduttore dell’unico libro dello scrittore brasiliano Ferréz
tradotto in Italia, Manuale pratico di
odio[1],
uscito nel 2006 presso Arcana Libri di Roma. Ferréz è uno scrittore originario
della periferia urbana di San Paolo che descrive, crudamente e poeticamente, la
vita quotidiana e i brandelli di umanità che permangono in chi cerca di
sopravvivere in contesti ghettizzati, dominati spesso dalla violenza e dalla
sopraffazione. Il libro presenta in copertina un’immagine evocativa composta dall’artista
grafica newyorkese Ann Weinstock, specializzata in copertine di libri, in cui
un giovane mette le mani a megafono per urlare chissà cosa, dominando uno
sfondo anonimo di palazzi e un temporale minaccioso in arrivo. Oltre alla
traduzione del romanzo, il volume presenta inoltre alcune note e un glossario
per aiutare i lettori italiani a comprendere il contesto sociale e geografico,
il linguaggio, alcuni sottintesi comprensibili solo a chi vive nella periferia
paulistana[2].
Abbiamo fatto
alcune domande ad Andrea:
GM: Andrea, qual è il
tuo rapporto con la lingua portoghese e la cultura brasiliana? Quando e dove
hai iniziato a studiare questa lingua?
AC: A metà degli anni
’80 a Roma (ma anche nel resto d’Italia) si stava vivendo un piccolo “boom”
della cultura brasiliana, in parte anche prosaicamente, a seguito delle gesta
degli idoli calcistici del tempo (Paulo Roberto Falcão e Zico su tutti) ma il
fenomeno colpì anche gli ambienti intellettuali. Fatto sta che nei locali si
suonavano spesso samba e bossa nova. In tv e al cinema cominciavano,
timidamente e a volte postumi, a comparire film brasiliani (“Dona Flor e i suoi
due mariti” di Bruno Barreto, “Pixote” di Hector Babenco, “Bye Bye Brasil” di
Carlos Diegues ecc). Anche l’editoria pubblicava con maggior frequenza rispetto
al passato le opere letterarie brasiliane (Jorge Amado, Machado de Assis, João
Guimarães Rosa, Graciliano Ramos, Murilo Mendes, Clarice Lispector ecc). In
questo contesto il portoghese brasiliano (anche solo la sua caratteristica
intonazione e l’inconfondibile accento) divenne più familiare alle orecchie
degli italiani. La musica, certamente, ne fu l’elemento principale di
diffusione. All’inizio del 1987 mi iscrissi a uno dei corsi di lingua
portoghese organizzati dal CEB (Centro de Estudos Brasileiros) dell’Ambasciata
Brasiliana a Roma. All’epoca non avevo ancora 18 anni ed ero affascinato dalle
sonorità suadenti del portoghese che volevo assolutamente imparare. Ci riuscii abbastanza
rapidamente e il secondo livello del corso mi venne offerto dal CEB come era di
prassi all’epoca per i migliori alunni dei vari corsi.
Entrai così in contatto con il mondo culturale brasiliano,
dal cinema alla musica, dalla stampa alla letteratura, dalla gastronomia al
folklore...
GM: Ti consideri un
“traduttore per caso”, o la possibilità di tradurre Ferréz ti è stata offerta
da un percorso di studi e professionale che stavi svolgendo all’epoca della
traduzione?
AC: Dopo la maturità mi
iscrissi a Lingue e Letterature Straniere Moderne e Contemporanee presso la
Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma e scelsi
il portoghese come prima lingua quadriennale. All’inizio del 1989 il portoghese Instituto Camões offrì tre borse di studio a Lisbona per
altrettanti corsi universitari estivi di lingua e cultura portoghese. Il
Dipartimento di Lingua Portoghese della facoltà, diretto allora dalla Prof.ssa
Luciana Stegagno Picchio, organizzò un esame-concorso per assegnare le borse ai
tre migliori alunni candidati. Mi qualificai primo su circa 80 alunni e partii per
Lisbona a luglio di quell’anno. Tuttavia il mio percorso universitario si interruppe dopo
pochi anni, dopo aver dato la metà degli esami, per incompatibilità con il mio
lavoro, ma continuai ad avere la possibilità di svolgere attività di traduzione
in varie occasioni. Tra gli anni ’90 e ’00 fui traduttore simultaneo dal
portoghese (e dallo spagnolo) in diversi eventi del settore turistico, agricolo
e di istituzioni pubbliche. Nel 2005 cominciai a collaborare con Fazi Editore e Arcana Libri,
inizialmente come revisore di traduzioni (Ovelhas
que Voam se Perdem no Céu di Daniel Pellizzari, Dentes Guardados di Daniel Galera, Tropicália. História de uma Revolução Musical di Carlos Calado) e
come autore di sinossi di libri brasiliani e portoghesi in previsione di
eventuale traduzione e pubblicazione da parte delle case editrici stesse. È del 2006 la mia traduzione di Manual Prático do Ódio per Arcana Libri.
GM: La lingua di Ferréz
non è facile da tradurre e introdurre culturalmente nel contesto italiano.
Questo per lo stile, per il gergo giovanilistico, il contesto violento della
periferia urbana di San Paolo in cui, forse, ci sono più differenze che
somiglianze rispetto alle attuali periferie italiane. Un contesto sociale e
urbano piuttosto distante dal nostro, ma non privo di elementi generalizzabili,
propri di un mondo trasformatosi in un “villaggio globale”. Come hai fatto a
sciogliere i molti nodi che ti si sono presentati di fronte nel tentativo di
rendere in italiano espressioni locali, modi di dire, sottintesi propri di un
gergo geograficamente ben localizzato e riconoscibile per chi è nato e
cresciuto in determinati luoghi, quartieri, ma non per chi ne è estraneo?
AC: Sicuramente un
lavoro di traduzione a partire da una lingua gergale geograficamente, socialmente
e generazionalmente circoscritta come quella del quartiere paulistano di Capão Redondo non è stato un compito
facile. La scelta di un linguaggio credibile in italiano è apparsa da subito
estremamente difficile. Se non altro perché in Italia, per le sue ben note unicità
“linguistiche” regionali, il linguaggio parlato, soprattutto in contesti
criminali e marginali, non è quasi mai universalmente italiano ma, piuttosto, locale
e dialettale. Si pensi a film italiani usciti sottotitolati nelle nostre sale come
Sonetàula (2008) di Salvatore Mereu, interamente
parlato in sardo barbaricino o a La Capa
Gira (1999) di Alessandro Piva, interamente recitato in barese.
Quest’ultimo fim, tra l’altro, vede come protagonisti due pesci piccoli della
microcriminalità del capoluogo pugliese di quegli anni. Una realtà che, senza
neanche troppa fantasia, potrebbe parzialmente somigliare a quella del Manual di Ferréz. Tutavia, nel caso
specifico del film ambientato a Bari, sarebbe impensabile un linguaggio diverso
da quello locale. Lo stesso film recitato in italiano perderebbe infatti ogni
credibilità. Sarebbe interessante vedere come siano stati tradotti, nei vari
paesi stranieri in cui è stata distribuita, i dialoghi in romanesco della
fortunata serie italiana “Romanzo Criminale”, che ha avuto successo anche negli
Stati Uniti. Paradossalmente però, il nostro regionalismo linguistico
ha favorito (storicamente per esigenze di doppiaggio cinematografico) la
creazione di un italiano parlato fittizio, poco o per nulla rispondente al
linguaggio effettivamente usato dalla gente, ma ormai riconosciuto e accettato
da tutti i nostri connazionali quando leggono l’italiano dei libri stranieri
tradotti o lo ascoltano nei film stranieri doppiati. Si pensi a termini ed
espressioni come “piedipiatti” o “sbirri”, “bamboccio” o “moccioso”, “tirare le
cuoia” o “sputare il rospo” ... e la lista è interminabile! Per quanto riguarda, invece, la difficoltà di interpretazione
del linguaggio Capãoredondense di
Ferréz, ho avuto la fortuna di poter interloquire con l’autore stesso del
romanzo. In preda alla disperazione e a fronte di espressioni a dir poco
criptiche usate nei dialoghi del romanzo chiamai, senza troppe speranze, un
numero telefonico trovato in rete e relativo a un’associazione culturale del
quartiere di Capão Redondo. Con mia
sorpresa mi venne passato Ferréz in persona, che mi lasciò il suo numero di
cellulare e si rese disponibile per ogni mia richiesta di assistenza
linguistica.
GM: So che, in seguito,
hai conosciuto personalmente Ferréz: come ti è sembrato umanamente e di cosa
avete parlato, cosa avete fatto insieme?
AC: La sua totale
disponibilità ad assistermi fin dal nostro primo casuale contatto telefonico è
di per sé un elemento più che indicativo delle caratteristiche umane di Ferréz.
Pochi mesi dopo aver terminato il mio lavoro di traduzione feci un viaggio di
tre settimane in Brasile e, avendo previsto di fermarmi diversi giorni a São
Paulo, decisi di proporgli un nostro incontro. Lo contattai prima di partire da
Roma e lui fu felice della mia iniziativa. Ci incontrammo al terminal degli
autobus di Capão Redondo dove mi
venne a prendere con la sua auto. Mi portò in giro per il quartiere mostrandomi
molti dei luoghi in cui aveva immaginato svolgersi le vicende del romanzo. Mi
ha portato a casa sua, mi ha fatto conoscere suoi amici e collaboratori, mi ha
mostrato lo spazio, da lui finanziato con i proventi dei libri, in cui si
svolgevano (e credo si svolgano ancora) le attività culturali a beneficio della
comunità e dove ha sede 1daSul, il brand da lui creato che rappresenta il
quartiere di Capão Redondo. È una persona estremamente gradevole, semplice e colta
allo stesso tempo, che si impegna, tra l’altro, in molteplici attività di
diversa natura: dalla scrittura alla musica, dai fumetti al teatro ... sempre
sotto l’insegna della denuncia sociale e della partecipazione attiva. Sono
felicissimo di aver avuto l’opportunità di conoscerlo personalmente.
GM: Tornando al libro,
lui ti ha aiutato in che modo? Puoi fare qualche esempio di come ha sciolto i
tuoi dubbi di traduzione di parole, espressioni, contesti narrativi?
AC: Il suo aiuto si è
rivelato indispensabile nella interpretazione dei dialoghi tra i personaggi,
rigorosamente in gergo locale in contrasto con la narrazione in terza persona e in portoghese brasiliano standard. Esemplari le espressioni interpretabili in modi diversi e
molteplici a seconda del contesto come tru/truta/choque
(appellativi confidenzali simili ai nostri bello,
secco, compare, fratello...), firmeza
(tutto bene, tutto a posto ... ma
anche mi raccomando, o siamo d’accordo a conclusione di un
patto) bagulho (situazione ma anche
guaio, problema) firminha (attività
di spaccio di droga ma anche attività illegale generica e di lucro) homi/cabecinha branca (poliziotti ma anche polizia in generale), na mão branca (azione compiuta disarmati
ma anche genericamente azzardata e pericolosa), pegar emprestado (espressione che può avere il significato
letterale di prendere a noleggio o in prestito ma che è usata, soprattutto,
come eufemismo di rubare), esquema
(piano, assalto, azione, offensiva), xeuvê
(abbreviazione di deixa eu ver/fammi
vedere), no vacilo (incautamente,
imprudentemente), Nós faz o
cara/doido/maluco (uccidiamo/aggrediamo/derubiamo il tipo/la persona/il
nemico di cui si parla).
Allo stesso modo l’aiuto di Ferréz è stato molto utile in
tutte quelle descrizioni che, anche in portoghese standard, davano per scontata una conoscenza delle abitudini, degli
avvenimenti e del contesto culturale dei personaggi. Molte di queste
situazioni, traducibili linguisticamente ma di difficile comprensione per chi
non abita nei luoghi del libro, sono state oggetto di spiegazione e chiarimento
nelle note e nel glossario del testo in italiano.
GM: Mi è sembrato che, a
volte, per aumentare il tasso di perifericità e volgarità del linguaggio dei
protagonisti, hai usato espressioni e parole volgari molto più di Ferréz stesso,
senza usare espressioni che, ad esempio, avresti potuto cercare
sistematicamente, come equivalenti culturali, nella periferia romana, in uma
periferia italiana. Ritieni, ad ogni modo, di essere riuscito a rispettare e a
restituire lo spirito che permea il romanzo (in cui Ferréz si dedica a mostrare
i meccanismi psicologici che muovono, in forma traumatica e conflittuale, le
azioni dei giovani protagonisti coinvolti in atti criminali, spesso assai
brutali), ad aprire uma porta di comunicazione con il lettore italiano?
AC: Non direi di aver
privilegiato, in assoluto, un linguaggio scurrile a danno di uno più
edulcorato.Non era perlomeno questa la mia intenzione. Ho tentato piuttosto (e
spero di essere riuscito nell’intento) di bilanciare il naturale ingentilimento
linguistico che avviene traducendo da un linguaggio originale parlato a una lingua
ufficiale e “altra”. Per questo ho talvolta utilizzato termini che sovente
superavano in volgarità quelli originali. A mio parere alcuni dialoghi, una
volta tradotti in un italiano standardizzato, avrebbero mancato di autenticità
senza adeguate coloriture. Sarebbero risultati falsi e affettati. Parimenti non
ritengo efficace, nella ricerca di un realismo linguistico adeguato al
contesto, l’utilizzo alternativo di espressioni regionali italiane (che
sarebbero del tutto fuori luogo) o l’inserimento arbitrario di errori
grammaticali non previsti dall’autore. Dovendo escludere l’uso di un dialetto,
è più verosimile che un criminale condisca spesso il linguaggio con parolacce.
Sarebbe arbitrario e fuorviante farlo passare per analfabeta.
GM: Il mio riferimento
a una caratterizzazione locale (usando ad esempio il gergo della periferia
romana) della traduzione era pensato alla luce dell’idea di traduzione “scandalosa”,
pensata in forma provocatoria (ma non troppo) da Lawrence Venuti[3],
che problematizza e valorizza in questo modo il ruolo del traduttore e la
possibilità di un maggiore o diverso inserimento del libro nel nuovo contesto
culturale. Riguardo agli elementi paratestuali del libro, specificamente alle
note e al glossario, la loro presenza è stata pensata direttamente dalla casa
editrice o ne hai sentito la necessità da solo? Ferréz è stato una risorsa fondamentale
anche per definire queste parti complementari alla traduzione?
AC: A mio parere non è
comunque corretto effettuare traduzioni in un linguaggio dialettale o gergale, circoscritto
a realtà geografiche e culturali specifiche e totalmente distanti da quelle del
testo originale. Con riferimento alla tua domanda, l’aiuto di Ferréz è stato
molto utile anche in alcune di quelle descrizioni che, seppur in portoghese standard, davano per scontata una
conoscenza delle abitudini, degli avvenimenti e del contesto culturale dei
personaggi. Molte di queste situazioni, traducibili linguisticamente ma di
difficile comprensione per chi non abita nei luoghi del libro, sono state
quindi oggetto di spiegazione e chiarimento nelle note e nel glossario del
testo in italiano. Alcune mi sono state spiegate da Ferréz, altre le conoscevo
già per i miei contatti con il Brasile.
Acuni esempi di queste situazioni:
1. La parte in cui si parla della truffa ai danni dei
poveri e disoccupati in merito all’acquisto di una macchina per fabbricare
pannolini da rivendere. Di fatto non sapevo di questo episodio realmente
accaduto.
2. La scena in cui si parla del tornello conta persone
all’interno degli autobus e di quelli che passandoci sotto o scavalcandolo
evadono il pagamento del biglietto. Questa era una realtà che conoscevo.
3. Il riferimento, senza farne chiaramente il nome, a
José Luiz Datena, giornalista sensazionista e forcaiolo della tv Brasiliana.
Sospettavo che Ferréz si riferisse a questo personaggio e lui me lo ha
confermato.
Tenendo conto di questi aspetti, si sono resi necessari
gli inserimenti nel testo in italiano sia delle note che di un glossario. La
decisione è stata presa di comune accordo con la casa editrice su mia proposta.
___________________________
Como citar: MAFFIA, Gesualdo. "“San Paolo, la città-mostro”: Intervista al traduttore italiano di Ferréz". In "Revista de Literatura Italiana", v. 2, n. 4, abr. 2021. Disponível em: https://repositorio.ufsc.br/handle/123456789/221640
[1] FERRÉZ. Manuale
pratico di odio. Roma: Arcana Libri, 2006 (ed. orig. Manual prático de ódio. São Paulo: Objetiva, 2003).
[2] In
copertina il sottotitolo scelto per il libro è: “Uno scolvolgente noir al ritmo
velocissimo del rap”, mentre in quarta di copertina leggiamo questa
presentazione del contenuto: “In un Brasile senza legge una banda di malviventi
organizza una rapina. Sono sei ragazzi che hanno scelto il pericolo per
mestiere e il crimine come investimento. Attorno
a loro San Paolo, la città-mostro. Sopravviveranno?”.
[3]
Cf. VENUTI, Lawrence. Escândalos da tradução. Por uma ética da
diferença. São Paulo: Editora Unesp, 2019.
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