La poesia e la sapienza del mondo, di Marco Ceriani

Carlo Emilio Gadda: I Viaggi la Morte. Una proposta di traduzione, di Fabrizio Rusconi


Converzione di san Paolo (detalhe), Caravaggio (1601)

 
I primi impulsi verso la scrittura, in me, ebbero movente lirico ed espressivo, e insieme narrativo: poi venne anche il saggio, la sognata memoria filosofica.
(Intervista al microfono)

Esiste una fortissima sinergia in un autore quale Carlo Emilio Gadda tra riflessione saggistica e scrittura romanzesca. I due momenti, quello appunto riflessivo o metalinguistico e quello narrativo – con tutto ciò che ingloba questo aggettivo in termini di varietà, possibilità e registri – in Gadda sono destinati, fatalmente, a collassare uno sull’altro. Raramente i due momenti si trovano allo stato puro. Non lo sono nei più maturi esiti romanzeschi, dalla Cognizione del dolore (1938-41) a Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana (1957), dove la riflessione filosofica, la meditazione, la digressione metalinguistica sono pressoché ubique; e seppur a polarità inversa, questa magnifica, caotica impurità si trova anche nei testi più saggistici di Gadda.
Gli esempi da fare sarebbero molti, a iniziare dal suo testo che doveva diventare la sua tesi di laurea in filosofia, Meditazione milanese a cui lavora alacremente per tutto l’anno 1928. Ma certo, per questa via, arriviamo al più maturo esemplare di questa impurità, la raccolta di saggi intitolata I Viaggi la Morte (1958). Anche in questo caso, come per molte opere di Gadda, la complessa vicenda editoriale, come anche la disomogeneità interna dei materiali ivi raccolti, non può adombrare il valore complessivo del testo nonché l’esemplarità di alcuni saggi. Siamo d’accordo con Emilio Manzotti quando scrive che “essi costituiscono, se pure per accenni, una vera Poetica (e Stilistica) dell’Autore”. Nel saggio di Manzotti viene inoltre dichiarata l’eccezionalità del testo gaddiano, “uno dei più alti esempi novecenteschi di prosa d’invenzione e di pensiero ad un tempo”[1], e che per tale motivo andrebbe collocato al vertice dell’opera gaddiana assieme a capolavori conclamati come La cognizione del dolore e il Pasticciaccio. Riteniamo infatti che I viaggi la morte sia un’opera magnificamente esplicativa dell’autore e per questa ragione ci sentiamo di caldeggiarne la traduzione per il mercato brasiliano, per almeno tre motivi.
Capa da primeira edição (1958)
Il primo di questi motivi è la pertinenza dei saggi, o almeno dei più significativi d’essi, nell’ambito della riflessione d’autore e dei suoi temi più battuti e ricorrenti. Questioni capitali come per esempio l’antagonismo tra l’io e il mondo delle cose, dei giudizi e delle impressioni. Non esiste per Gadda un’espressione depurata dalle idiosincrasie che formano inevitabilmente la nostra realtà (“Come lavoro”); e ancora, l’autobiografismo caricato sotto la cui lente l’autore si guarda impietosamente, esasperando i suoi difetti e le sue tare (“Meditazione breve circa il dire e il fare”); la regressione vittimizzante al Gadda bambino e alle molestie dei genitori e degli educatori, interrogata ricorrendo a Freud e alle sue categorie (“Psicanalisi e letteratura”); il legame tra pensiero, espressione, linguaggi specialistici e lingua comune (“Belle lettere e contributi delle tecniche”); infine la riflessione sulla lingua letteraria e sulla sua natura fortemente sovversiva rispetto alla lingua comune (“Lingua letteraria e lingua dell’uso”).
L’altra ragione che ne consiglierebbe una traduzione è la sostanziale continuità tra la prosa saggistica e la prosa narrativa o finzionale, il che getta luce sulla “mens gaddiana”, sul suo incontenibile stile fatto di una mistura tra lucida riflessione e bizzarra metaforicità.  Affinché il pensiero si concretizzi, Gadda sente l’impellente necessità di ricorrere a una immagine. Come dirà spesso lui, rintracciando la genesi di una ispirazione, il bisogno di materializzarlo in un’ipotiposi, ossia in un’immagine che faccia appello ai sensi, soprattutto alla visività, all’iconicità. L’ingegnere Gadda d’altronde è sempre stato un uomo concreto. Non esiste per lui un’astrazione filosofica che non sia trasformabile in calcolo, e, da questo, in disegno e poi in oggetto concreto. Certo il suo espressionismo non gli nega, se serve, di ricorrere a immagini strambe, e grottesche; direi quasi arcimboldiane, menzionando un altro grande innovatore meneghino. D’altronde sui modelli figurativi della scrittura di Gadda, c’è uno studio di Raimondi, in cui il critico rintraccia quelle che sono le simpatie caravaggesche e quindi barocche di Gadda lette alle luce di un grande critico d’arte quale fu Roberto Longhi[2].
Infine una terza ragione consiste nella possibilità di penetrare meglio nel canone gaddiano quindi in quegli autori che lo scrittore sente più congeniali alla sua proposta, congeniali stilisticamente e esistenzialmente. Sono nomi di autori non sempre convenzionali. Non sempre italiani. Il confronto si dà con autori difficili quali Giordano Bruno il cui immaginario prolifera di ipotiposi bizzarre che servono al concetto, proprio come in questi saggi di Gadda, in cui la riflessione si contamina sempre con gli umori e i malumori del polemista. Ma anche Belli, Folengo, Rabelais. Sono d’altronde questi, gli autori più congeniali a Gadda, autori che funzionano davvero da modelli con cui confrontarsi, da emulare, da parodiare, da disleggere. Autori questi, che letti oggi sembrano capovolgere la linea del tempo, tanto da farci trovare un po’ di Gadda in altre epoche storiche e in altre visioni del mondo. Sorprendenti anacronismi, come quando ci si imbatte in bizzarre enumerazioni degli oggetti più eterocliti e strambi, come in Giordano Bruno; penso qui al Candelaio, in cui si ritrova anche l’ossessione narcisistica di un io continuamente in scena e pertanto “oscenamente” esibito nei suoi deliri e travestimenti. Al lettore contemporaneo tutto ciò fa pensare al Gadda più corrosivo e espressionista.
Il saggio per Gadda, ancorché si confronti con questioni universali o epocali – lingua, viaggi, psicanalisi, letteratura, autori amati – non sa né può rinunciare alla presenza di un io biografico che però si traveste costantemente dietro eccessi linguistici e iperboli retoriche. Il pensiero è sempre portato ad ebollizione, come nel laboratorio di un alchimista. I viaggi la morte sono allo stesso tempo una confessione di poetica personalissima e unica, ma anche un’opera nella quale il pensiero è portato alle intuizioni della grande filosofia.
Per concludere, riteniamo che una più piena comprensione di questi motivi renderebbe certo più perspicua la lettura dei suoi grandi romanzi o racconti, ma anche potrebbe meglio orientare un eventuale e laborioso processo di (ri)traduzione (consigliato mi pare, anche perché le traduzioni invecchiano mentre gli originali no). E questo anche perché in Gadda è sempre stata fortissima la simbiosi tra scrittura e riflessione. Categorie nate in ambito critico, come quella di pastiche, pasticheur, sono state successivamente assunte nell’opera vera e propria, diventando una metafora viva e feconda di scrittura. Così la collocazione di Gadda nell’ambito espressivo delle scritture “mescidate” e “scandalose”[3] (CONTINI, 1989, p. 3) proprie del pastiche (a cui si faceva riferimento), proposta già in un saggio di Contini del 1934, è il seme destinato a dare il frutto più ghiotto, dopo ventennale maturazione nel “pasticciaccio”, appunto un “pasticcio” gigantesco, di ambientazione romana, che è appunto Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1957). Ecco che la categoria critica viene tradotta in azione, il concetto diventa colore, vita; la prosa si incanala decisamente in direzione all’espressionismo, all’eccesso verbale, e si compie fatalmente la profezia continiana di una scrittura del “pasticcio”, in una circolarità, comunque imperfetta, come il profilo di una perla barocca.



[1] MANZOTTI, Emilio. Gadda saggista. In: Storia della letteratura italiana, vol. IX, il Novecento. Roma: Salerno Editrice, 1999, p. 634.
[2] RAIMONDI, Ezio. Barocco Moderno. Roberto Longhi e Carlo Emilio Gadda. Milano: Paravia Mondadori, 2003.
[3] CONTINI, Gianfranco. Quarant’anni di amicizia. Scritti su Carlo Emilio Gadda (1934-1988). Torino: Einaudi, 1989.


como citar: RUSCONI, Fabrizio. Carlo Emilio Gadda: I Viaggi la Morte. Una proposta di traduzione. In   Literatura Italiana Traduzida, v.1., n.7, 2020.Disponível em URI: https://repositorio.ufsc.br/handle/123456789/209577